mercoledì 19 ottobre 2016

I Medici: vi spiego perché non è un cattivo prodotto.

Ieri sera su Rai 1 c'era questa nuova serie TV firmata RAI in collaborazione con una serie di altri mammasantissimi (la serie è creata dallo stesso che ha inventato X-Files, mica l'ultimo scemo) della produzione internazionale. Tutti si aspettavano una cosa da strapparsi le mutande, ma io, in fin dei conti, avevo già un'idea di cosa sarebbe successo. E quindi: che cosa abbiamo visto ieri sera?


Le serie TV a sfondo storico
A me piacciono le serie TV storiche, in costume. Mi sono vista I Borgia, mi sono vista I Tudors, The White Queen, Marco Polo. Me le sono guardate sapendo perfettamente che quello che avrei visto non sarebbe stata una ricostruzione storica affidabile, ma una cosa romanzata, modernizzata, fatta per vendere e per piacere alla gente che si appassiona alle trame di intrighi politici ambientati in una ricostruzione immaginaria di un passato attualizzato, ma che suggerisca una verosimiglianza con il contesto storico prescelto. Data la mia formazione, tendo ad essere anche piuttosto polemica con le inesattezze che ci propinano queste serie TV, ma me le guardo lo stesso con il sorriso, perché lo scopo di questi prodotti non è quello di proiettarci in un documentario scientifico, quanto piuttosto di intrattenere un pubblico generico che è attratto più dal family drama e dagli intrighi, che dall'effettiva veridicità storica. 

Il Dramma Storico
Questa è roba vecchia. Pensiamo, per esempio, a quando Shakespeare scrisse l'Amleto. Stava facendo una ricostruzione storica, ambientando l'evento in un Medioevo attualizzato al suo contemporaneo. E ha fatto così anche per Romeo e Giulietta e per Antonio e Cleopatra, per non parlare del Giulio Cesare. Si tratta di un esercizio creativo che mostra la storia, quella reale, quale sfondo di una storia inventata che parli di personaggi e della loro interiorità, delle loro motivazioni che li hanno portati ad una fine che tutti noi conosciamo. Poi sono venuti i romanzi storici (avete presente Ivanhoe?) che hanno fatto esattamente la stessa cosa. 

Le serie TV a sfondo storico, almeno quasi tutte quelle di produzione più recente, si configurano, in sostanza (almeno quelle che ho citato fino ad ora), come un family drama di ambientazione storica (principalmente perché indagano le vicende di una dinastia), che resta vincolato ad elementi derivanti dagli eventi reali (alcuni "fatti", le date, ecc...), ma soffermandosi in particolar modo sui personaggi e le loro motivazioni, in modo da rendere il pubblico partecipe e in modo che lo spettatore vi si possa immedesimare. Dati questi particolari elementi, in pratica I Medici è una serie TV all'americana perfettamente in linea con tali parametri, un prodotto buono (non eccellente) che è sostanzialmente all'altezza delle altre serie TV dello stesso stampo che si vendono in giro per il mondo, di produzione esclusivamente estera. Qual'è il punto? Il punto è che per la prima volta la RAI ha fatto un lavoro che si può definire all'altezza del mercato di Serie TV estero. E questa è una cosa buona. 

Ho letto in giro una serie di giudizi negativissimi o entusiasti. La verità, secondo me, sta nel mezzo. 

I Medici: recitazione e doppiaggio
Hanno sputato sentenze sulla qualità di recitazione. Ok, ci sto. Ma noi abbiamo visto un prodotto ridoppiato in italiano. E qui casca l'asino. Credo che la cosa che renda veramente questo prodotto un prodotto mediocre sia l'effettiva qualità del doppiaggio. Oltre al fatto che hanno usato dei doppiatori (anche bravi) con lo stesso timbro di voce (se ti vedi la serie a occhi chiusi non riesci subito a distinguere i personaggi l'uno dall'altro), c'è anche da dire che non hanno saputo sincronizzare bene il tutto (sembra, in pratica, un lavoro fatto un po' di fretta e alla cazzo di cane, insomma, all'italiana). La cosa che fa più ridere è che quelli di noi che si vedono le serie TV estere sono per lo più costretti a guardarsele in lingua originale proprio a causa della pessima qualità di doppiaggio. La Rai è riuscita a fare così schifo nel doppiaggio che adesso siamo costretti a vederci anche una serie di produzione italiana, in inglese. Complimentoni ragazzi!

La qualità degli attori non è pessima: avete idea di cosa vediamo su Rai 1? Quello dei Medici mi sembra un salto di qualità notevole, e, come al solito, perfettamente in linea con gli standard esteri. A parte Richard Madden, che pare Ciccio Bello con la barba. 

Richard Madden, il Ciccio Bello con la barba.


Incoerenze storiche e storico-artistiche
Cosimo il Vecchio, dipinto da Agnolo Bronzino.
Ritratto Postumo del 1540 ca, Galleria degli Uffizi, Firenze. 
Ci sono stati nervosissimi attacchi ai costumi. Non sono costumi del primo Quattrocento, dicono. 
Non posso dargli torto, ma se devo dire la verità, non sempre la scelta di utilizzare abiti storicamente attendibili potrebbe trovare il consenso del pubblico. La produzione, evidentemente, ha optato per rendere i personaggi più vicini alla nostra percezione contemporanea, invece di imbacuccarli in calzamaglie colorate (che forse li avrebbe messi un po' in ridicolo). Come dicevo: si tratta di un prodotto di fantasia, non di un documentario. 
Del resto dovremmo anche lamentarci del fatto che Cosimo il Vecchio sia interpretato da un belloccio, quando tutti sanno che non era affatto un bamboccio dagli occhi azzurri e dal capello da rocchettaro. 



Fossero solo i vestiti il problema: ho notato sullo sfondo di svariate scene una serie di inesattezze: i nostri attori recitavano davanti ad opere d'arte del Cinquecento o al cospetto di opere sacre (che avrebbero dovuto essere in una chiesa e non in una casa privata) smembrate e posizionate sul muro come faremmo noi oggi (come gli sportelli di un trittico liberati dalla propria cornice e appesi al muro come se fossero quadri, un'esposizione museale, per nulla corretta filologicamente). Mi sarei aspettata, dal punto di vista scenografico, una maggiore attenzione a queste cose, soprattutto (e spero che ciò avvenga nelle future puntate) una maggiore attenzione sulle collezioni di antichità possedute dalla famiglia Medici.

Nella serie TV incontriamo anche alcuni artisti, tra cui spicca la controversa figura di Donatello. Sì, al tempo Donato era a Roma e probabilmente non aveva messo su una bottega (tra l'altro con lui c'era anche Brunelleschi, che qui invece non compare, se non nella seconda puntata come un artista arrogante - che è come ci viene descritto dalle fonti - ma per adesso non particolarmente sviluppato, piuttosto trasparente). Nessuno può dire se Donato fosse effettivamente omosessuale, ma l'immaginario comune dell'artista creativo/genio/pazzo/solocontroilmondo/spiritolibero/omosessuale è talmente radicato che ha fatto sì che, tramite la figura di questo genio immenso dell'arte italiana, si mettesse in mezzo una tematica molto cara alla nostra attualità (e presente quasi in ogni prodotto seriale degli ultimi tempi), ossia la tematica dell'omosessualità. Ancora una volta ci siamo trovati davanti la solita frittatina nazional popolare volta ad attirare il pubblico su una determinata linea narrativa che non c'entra un bel niente con la storia, quanto piuttosto con la necessità narrativa dei creatori che hanno confezionato un prodotto "all'americana" pieno di luoghi comuni, adatto a soddisfare un pubblico molto vasto, un pubblico da televisione generalista, così come è, e sempre sarà, il pubblico di Rai 1. 

Perchè i Medici
Molti di voi si saranno chiesti per quale benedetto motivo dovevano venire ad azzuppare il biscotto proprio sui Medici. Rendetevi conto, però, che sui Borgia già ci hanno mangiato, e i Medici, sostanzialmente, permettono di indagare un periodo storico particolarmente complesso e interessante della storia italiana. Aggiungiamo a questo il fatto che, come ho già detto, una serie TV per funzionare deve poter parlare di temi forti e che facilmente interessino il pubblico. In questo caso, oltre alle varie linee narrative, sottolineiamo che la famiglia de Medici è stata una delle famiglie di banchieri più famose ed importanti della storia mondiale. Siamo in Europa in un periodo in cui le banche sono in profonda crisi (non solo economica) e ce le ritroviamo nominate in tutti i notiziari. Possiamo dire che parlare di una famiglia di banchieri è, probabilmente, una delle trovate narrative più intelligenti che potessero fare gli scrittori di un dramma storico in questo particolare contesto culturale. 
Oltre a questo, io mi rendo conto che potrei sembrare complottista, ma trovo che questa fiction sia perfettamente in linea con il programma politico-culturale del nostro governo, al cui vertice, ricordo, c'è un fiorentino che si è sempre vantato della propria cittadinanza e, da Sindaco di Firenze, ha trasformato il Rinascimento italiano in un vero e proprio brand, con tutto il male che ne consegue. Non posso pensare che la nascita di questa serie TV non abbia avuto la benedizione del nostro Presidente del Consiglio. 

Il panorama delle fiction visibili su RAI 
Guardandoci attorno, dobbiamo renderci conto che su RAI ci troviamo sempre a dover guardare una tipologia di fiction che si adatta più ad un pubblico datato che vuole essere confortato da storie semplici, lineari, di preti e di forze dell'ordine, di medici, di insegnanti. Probabilmente la miglior serie TV italiana è Montalbano, che comunque è rivolta ad un preciso target. Siamo una nazione di vecchi dai sani principi, bacchettoni e cattolici, e non possiamo farci niente. Fortunatamente c'è Sky e c'è Netflix, che permettono, a noi giovani che ci siamo rotti delle solite fiction all'italiana, di rifarci gli occhi con cose che soddisfano le necessità del nostro immaginario, che riteniamo più evoluto rispetto a quello dei nostri nonni (ancora vivi e che devono, in qualche modo, campare anche loro). 

La RAI è una TV pubblica, generalista, e deve poter soddisfare gli interessi di una larghissima parte di spettatori. Il problema è che, per farlo, preferisce non rischiare, e quindi produce cose politically correct rivolte a quel pubblico non disincantato che adora ancora il Maresciallo Rocca e Don Matteo. Con la messa in opera dei Medici, finalmente la Rai si sta aprendo ad un panorama diverso. Ovviamente, per ragioni di audience, non avrebbe mai potuto scegliere di investire i propri soldi (che poi sono i nostri soldi, visto che paghiamo per vedere la tv pubblica) in una versione italiana di Dexter, ma ha scelto invece di fare sì un passo avanti, ma parandosi per bene le palle. Hanno scelto un dramma storico che possa tenere al suo interno una serie di linee narrative in grado di accontentare un vasto pubblico, di giovani (magari interessati al belloccio di turno e alla novità), di vecchi (interessati alla linea romantica, agli intrighi e alla linea investigativa che indaga sulla morte di Giovanni) e di ignoranti (che non se n fregano un bel nulla della qualità di recitazione, dei costumi, del doppiaggio e dell'effettiva verità storica). 
L'operazione è giusta, la serie è vincente e si spera che non facciano idiozie più avanti. La trama non è proprio lineare, l'intreccio politico non è male, i personaggi sono ben studiati nelle loro motivazioni (almeno per quello che sono riuscita a vedere per ora) e, in generale, il prodotto si configura come la serie TV nazional popolare meno nazional popolare della programmazione di Rai 1. 


Conclusioni: che cosa abbiamo visto ieri sera?
Quello che abbiamo visto ieri è una serie TV è perfettamente in linea con altri prodotti internazionali dello stesso genere, e per questo credo che sia una produzione vincente. Sono da migliorare la qualità di recitazione di alcuni attori (ma non è che nelle altre serie estere siano tutti bravi, gli attori, eh) e soprattutto la qualità del doppiaggio, che è talmente penosa che non sai se ridere o piangere. 
Invito tutti gli ignorantoni che pensano che questa serie TV sia una ricostruzione storica precisa degli eventi del Rinascimento fiorentino a comprarsi un buon libro di storia e di storia dell'arte, in modo da potersi rendere conto che un prodotto di intrattenimento non è uno strumento di divulgazione scientifica. Pensare che quello che vediamo in uno sceneggiato sia la realtà è come credere che i Supereroi esistano davvero e che siamo tutti controllati dallo S.H.I.E.L.D.

Quello che temo che succeda è che questa serie non incontri il piacere del pubblico. Gli spettatori più datati che vogliono essere rassicurati dalla solita fiction all'italiana, odieranno questa serie perché storicamente inattendibile, perché c'è troppa violenza, perché ci sono le tette in prima serata e perché il futuro Papa, descritto nella prima puntata, va a donne. L'altra parte del pubblico, quella fatta di giovani che amano True Detective, Narcos, Gomorra, Fargo e tutte le serie di altissima qualità che si ritrovano sulle televisioni private, diranno che questo prodotto fa schifo perché non è affatto in linea con le grandi produzioni estere, e lo diranno senza contestualizzare l'evento all'interno di un panorama televisivo più generale e senza confrontarla con altre fiction della stessa tipologia.
Auspico che questa possa essere la prima di altre produzioni Rai che aiutino la rete ad investire maggiormente su produzioni coraggiose, e, chissà, magari un giorno riusciranno a fare veramente una serie della qualità di Fargo su Rai 1. Ma si sa, io sono una sognatrice. 

mercoledì 20 aprile 2016

Aspettando il Comicon - Rughe di Paco Roca [Recensione]

Continuando la rubrica "Aspettando il Comicon" inaugurata con questo post, oggi vi parlo ancora una volta di Paco Roca e del suo "Rughe" edito in Italia da Tunuè.



Paco Roca
Come già spiegato quando ho recensito "Il Gioco Lugubre", Paco Roca non è l'ultimo arrivato. ma si tratta di uno degli autori europei più riconosciuti e con l'opera di cui trattiamo oggi si è guadagnato un botto di premi:
Premio miglior fumetto Diario de Avisos
Miglior opera e miglior sceneggiatura al Salone Internazionale del Fumetto di Barcellona 2008.
Premio Nazionale di Spagna miglior fumetto 2008.
Premio Gran Guinigi Lucca Comics & Games 2008 come miglior opera lunga.
Gran Premio Romics 2009 come Miglior libro a fumetti.
Premio Romics D'oro 2011 come miglior opera.
Premio Goya 2012 come Miglior film di animazione e Miglior adattamento.
Tutta roba che ho copincollato pari pari da Wikipedia perché internet esiste per facilitarci la vita. 

Rughe
Quando apri questo fumetto ti trovi davanti una storia che ha vinto tutti quei premi sostanzialmente perché tratta di un tema molto particolare e toccato veramente di rado nella produzione letteraria e fumettistica contemporanea. Mi riferisco al tema dell'Alzheimer. In sostanza esistono un botto di opere, soprattutto cinematografiche, che parlano della condizione dell'anzianità e riescono a raccontarla in maniera tenera, scherzosa o drammatica, a seconda dell'indole del regista/autore. Però tutta questa roba non tratta necessariamente di una malattia che colpisce un sacco di gente e, soprattutto, quando la si tratta non la si mette in modo che l'interlocutore possa capire effettivamente ciò di cui si sta parlando, perché si può solo immaginare la sensazione di perdersi pezzi della propria coscienza, ma è molto difficile arrivare a comprenderne fino in fondo le implicazioni. Paco Roca apre il suo fumetto, invece, piantandoci direttamente nella condizione di incoscienza del malato di Alzheimer: siamo in una banca e un impiegato sta per concedere un mutuo a una giovane coppia. Pochi istanti dopo ci rendiamo conto di essere stati gabbati perché veniamo fiondati nella realtà delle cose: l'impiegato non è un impiegato e non si trova in una banca, ma è un vecchio nella sua casa che viene rimproverato da un figlio (assistito dalla sua compagna) che non è lì per chiedere un mutuo, ma per parlare con suo padre che non ci sta più con la testa.L'incapacità del ragazzo di gestire la situazione, la sua rabbia, la sua frustrazione, lo portano alla scelta di mandare il padre in una casa di riposo. Ed è qui che inizia la storia vera e propria.


Sebbene inizialmente la storia si apra con Emilio (il vecchio di cui vi parlavo), scopriamo man mano una serie di altri personaggi collaterali coinvolti nella vita dell'ospizio. E soprattutto incontriamo quello che, a mio parere, è il vero protagonista della vicenda: Miguel
Al contrario di buona parte degli altri ospiti, Miguel è lì non perché ce lo hanno messo figli o parenti, ma semplicemente perché figli, amici e parenti non ce li ha. Sano di mente, privo di qualsiasi patologia, è uno scansa fatiche cinico, non un personaggio totalmente positivo, e che ha il brutto vizio di fregare di tanto in tanto i soldi a qualche vecchia sventurata che non ci sta più con la testa. 
Miguel è il compagno di stanza di Emilio e tra i due nasce una bella amicizia. Ma Emilio peggiora molto velocemente, ed anche molto velocemente i fatti precipitano, la storia si evolve poco, prendendoti alla sprovvista e dandoti in maniera molto visiva e molto elegante (comprese le pagine bianche che simulano la perdita di coscienza e l'improvviso ritorno di coscienza in una situazione completamente diversa, in maniera spiazzante) il senso dell'ineluttabilità della malattia. 
Ho detto che Miguel è il protagonista vero della storia perché è l'unico personaggio che ha un'effettiva evoluzione, sulla quale si basa l'unico colpo di scena di tutta la storia (che non vi dirò perché ve la dovete leggere). Tutti gli altri personaggi, compreso Emilio, non hanno un vero e proprio sviluppo narrativo. O, meglio, Emilio semplicemente diventa più rincoglionito di prima, ma questo peggioramento non è di per sé un colpo di scena, bensì un avanzare di una linea narrativa retta e prevedibile. 


Conclusione
Non si può dire che quest'opera non sia bella, prima di tutto perché se non lo fosse stata non avrebbe vinto tutta quella roba, e secondo perché ha il suo fascino e tratta di un tema poetico e difficile in una maniera molto semplice, ma che per i miei gusti resta piuttosto banale. 
Per quanto possa essere un'opera che tenti di sensibilizzare il pubblico su questo tema, non mi ha stimolato ad informarmi meglio sulla condizione degli anziani e sull'avanzamento della ricerca in merito alla malattia di cui tratta. Mi ha dato l'impressione di un'opera fine a sé stessa, una specie di banco di prova su cui sperimentare una formula narrativa che, però, risulta vincente. 
La genialità dell'opera, in sostanza, sta nel mostrare il mondo al lettore con gli occhi di un malato di Alzheimer, utilizzando la specificità del racconto fumettistico nella maniera migliore, imbrogliando, giocando sporco, mescolando le carte e disseminando informazioni e indizi. La sua bravura non sta tanto nel tema scelto o nello sviluppo della trama, ma sostanzialmente nella sua capacità tecnica di proiettarti nella testa di un malato di Alzheimer, come per farti provare con mano cosa significhino questi stanti di coscienza alterati. 

A chi lo consiglio
A tutti quelli che amano il graphic novel d'autore. Che piaccia o non piaccia il genere, non è un autore da ignorare, va tenuto d'occhio e non si può essere appassionati lettori di graphic novel se non si è letto almeno quest'opera di Paco Roca. 

A chi non lo consiglio
A chi non ama i graphic novel, a chi non vuole sentire storie di ospizi e anziani, a chi preferisce le storie d'azione e i misteri misteriosi di trame articolate e piene di colpi di scena.

mercoledì 13 aprile 2016

Aspettando il Comicon - Wet Moon di Atzushi Kaneko [Recensione]

Oggi mi trovo a parlarvi, per la rubrica "Aspettando il Comicon" (di cui vi ho già parlato qui), di Atsushi Kaneko e del suo Wet Moon, miniserie in tre volumi pubblicata in Italia da Star Comics. 


Atsuhi Kaneko
Autore giapponese che ci ha messo un bel po' ad approdare al mercato italiano, e lo ha fatto grazie a Soil (edito da Planet Manga), fumetto messo in risalto dalla criticache lo ha definito "il Twin Peaks in versione manga".
In Italia ha pubblicato anche Deathco e Bambi (entrambi editi da Star Comics). Attualmente sono in fase di lettura di tutti questi fumetti e spero di riuscire, entro il Comicon, a recensirli tutti (fin dove riesco ad arrivare). 
La caratteristica particolare di questo autore è l'utilizzo di un tratto non "deformed", poco cartoonoso che rende i suoi personaggi somaticamente realistici. Altra caratteristica, veramente molto importante, è che non si fa aiutare, nei disegni, da altri assistenti (uso frequentissimo, se non addirittura tradizionale, per i mangaka), questo per mantenere lo stile grafico unitario e coerente all'interno della sua opera, cosa che lo rende, in qualche modo, molto simile ad un autore europeo o americano di graphic novel.  

Wet Moon
Siamo in Giappone, negli anni '60, prima che gli americani riescano ad arrivare sulla luna. 
La scena si apre come un noir: una donna con una giacca rossa cammina da sola, di notte, lungo una strada. Scopre di essere seguita da qualcuno. Inizia a correre perdendosi nella notte.

Il nostro protagonista è Sada, un giovane poliziotto reduce da una brutta ferita alla testa, che gli da un sacco di problemi: mal di testa e, addirittura, perdita di memoria e stato confusionale. 
Se vi dovessi raccontare la storia in maniera lineare sarei una pazza, perché in effetti la linearità della storia è mandata completamente a puttane a causa di una serie di salti temporali che rispecchiano la confusione mentale del protagonista. Sada stesso, infatti, non sa (o non ricorda, o non vuole ricordare) in che modo si è procurato quella ferita alla testa. Il ragazzo vive sul filo della follia, e, impotente a causa della perdita della memoria e di frequenti stati confusionali, come tale viene trattato. 
Descriverei Sada come "il buffone della sorte", in maniera shakespeariana, un ragazzo che non riesce in alcun modo ad avere un peso significativo nella propria esistenza, un po' anche a causa della sua ingenuità e della sua goffagine. Sada cerca in ogni modo a dare una direzione alla sua esistenza. Vuole essere un poliziotto onesto ma non gli riesce e sprofonda sempre di più trascinato a fondo da una serie di eventi che non riesce ad arginare. 
La sola cosa che lo spinge ad andare avanti è la convinzione (che non viene espressa, ma si riesce facilmente ad intuire che ci sia) di dover trovare necessariamente quella ragazza con il neo sulla guancia per sapere come si è procurato quella ferita alla testa e perché sta impazzendo. 
In sostanza Wet Moon è una storia di ossessioni e di discesa nella follia, così come conviene ad un buon noir. Il tutto è condito dalla presenza inquietante di una serie di personaggi collaterali, tutti al limite della follia o al limite della realtà, come il misterioso Tamayama: una sorta di entità occulta che presumibilmente ha il potere di viaggiare nel tempo, che sembra tenere le fila di un complotto misterioso che Sada vuole riuscire a portare alla luce. 
La stessa infanzia di Sada, il ricordo di sua madre ed una serie di rimandi alla luna (quasi fosse una metafora della perfezione irraggiungibile, o quasi fosse la volontà autodistruttiva di un'umanità che vuole spingersi troppo oltre, fino a sfiorare gli dei) rendono quest'opera una specie di insalatona di misteri.

Conclusioni
I disegni veramente belli e una sapiente costruzione registica piena di rimandi agli storici film noir e alla storia del cinema in generale (con rimandi anche al cinema espressionista e a Méliès) rendono quest'opera una piccola perla nello sconfinato universo di cazzate prodotto nell'immenso mare aperto del mondo fumettistico
La trama è contorta e, non lo nego, soffre un po' della sindrome di Lost
Questo succede quando uno scrittore inzotta una trama di misteri che tengono il lettore con l'acquolina alla bocca e attaccato al filo degli eventi nella speranza che a un certo punto riesca ad avere chiarezza sullo svolgimento dell'azione e una risposta alle millemila domande che si pone. La sindrome di Lost sta nell'impossibilità dello scrittore di rispondere a tutti i quesiti sorti nella trama, un po' perché si è lasciato prendere la mano nel gonfiare i misteri in fase di scrittura, un po' perché quando si vuole fare un'opera che abbia una specie di morale metaforica sulla condizione umana, non sempre si riesce ad essere chiari ed appaganti. 

//SPOILER: suppongo che nel finale ci sia anche un'imbeccata ai viaggi temporali o alle realtà parallele, ma, davvero, continuo a pensare che il conflitto della storia non sia mosso solo da un'ambientazione pseudo fantascientifica, ma dalla condizione umana di Sada, che rispecchia la condizione umana in generale: l'essere umano è continuamente alla ricerca di qualcosa (metaforicamente incarnato nella donna con la giacca rossa) che lo renda completo, che sia un'amore, o le risposte sulla vita, l'universo e tutto quanto, risposte che non abbiamo avuto nemmeno con il progresso scientifico e i viaggi nello spazio e che probabilmente non avremo mai.//FINE SPOILER.

In conclusione ritengo che, nonostante la trama che lascia un sacco di interrogativi aperti e un'interpretazione non univoca (che sa di già visto e fa un po' anni '80), sia un fumetto piacevole e che vale la pena leggere, con dei personaggi veramente ben descritti e delle atmosfere inquietanti che riescono veramente a segnare il lettore. Le qualità visionarie di Kaneko sono incredibili e padroneggia perfettamente la regia e l'atmosfera necessari ad intrigare. Piccola nota dolente: le donne si somigliano un po' troppo. 
I dialoghi non sono ridondanti (come, ahimè, accade in molta produzione giapponese), non sono verbosi, e si dà il giusto peso narrativo e il giusto senso "artistico" del silenzio.

A chi lo consiglio
Ai non lettori di manga che vogliono sorprendersi con qualcosa che esce fuori da certi facili stereotipi sul fumetto giapponese; a chi ama le trame arzigogolate fantascientifiche; agli appassionati di noir.

A chi non lo consiglio
A chi si vuole fare quattro risate; a chi non ama pescare nel torbido dell'inconscio umano; a chi non si appassiona agli hard boiled; a chi odia i finali poco chiari. 

lunedì 11 aprile 2016

Aspettando il Comicon - Nimona di Noelle Stevenson [Recensione]

Per la serie "Aspettando il Comicon" (rubrica annunciata qui e iniziata qui), oggi vi parlo di un fumetto di Noelle Stevenson: Nimona. In Italia è pubblicato da Bao. 


Noelle Stevenson
Autrice americana, per Nimona ha ricevuto delle nomination per gli Eisner Award, e ha ricevuto il premio Cartoonist Slate Studio  come miglior Web Comic nel 2012.
Ha iniziato a pubblicare on line sotto lo pseudonimo di Gingerhaze e ha raggiunto il successo on line con una reinterpretazione umoristica dei personaggi del Signore degli Anelli. 
Ovviamente è molto attiva on line, sui suoi account Twitter e Tumblr. Qui invece trovate il suo sito internet ufficiale. 

La Trama
Nimona un bel giorno si sveglia e decide di andare a fare da assistente a Sir Cuorenero, che è in pratica il super criminale che minaccia il mondo con piani sopraffini volti alla conquista di potere su qualsiasi cosa. O almeno questo è quello che l'"Ente", una specie di agenzia paragovernativa, che controlla l'opinione pubblica, vuole farci credere. Ben presto il desiderio di Nimona di aiutare Cuorenero a conquistare il mondo va in contrasto con la realtà dei fatti: Cuorenero non è poi così cattivo. 
Caratteristica della nostra Nimona è l'essere un inarrestabile e caotico risultato di un incrocio tra un mostro distruttore di qualsiasi forma di vita e una bambina. Dentro di lei si nasconde il segreto e la motivazione che l'ha portata a scegliere la strada di correre in aiuto di Cuorenero (e qui mi fermo per evitare Spoiler).

L'Ambientazione
Buona parte delle recensioni che ho letto in giro presentano questo fumetto come un graphic novel in ambientazione a metà tra il fantasy e il fantascientifico
Io credo che questo sia un modo per facilitarsi le cose. Nato come web-comic, una volta arrivato alle stampe è stato definito graphic novel,  un fumetto seriale suddiviso in 11 capitoli più l'epilogo. L'ambientazione più che fantasy/fantascientifica, si presenta come un fantasy non inteso alla Signore degli Anelli, ma favolistico, un modo intelligente per nascondere una specie di critica umoristica alle infrastrutture governative del nostro mondo reale (e non del mondo fantascientifico), e questo lo si riscontra anche sulla tipologia veloce e moderna del dialogo. 
Uno dei noccioli della trama, inoltre, verte sull'utilizzo da parte di una agenzia parastatale, detta "L'Ente" di una particolare sostanza potenzialmente letale per l'essere umano, la "Radicedigiada". In questa parte della trama, infatti, ho notato una specie di tematica ecologista che muove su basi "complottiste", scimmiottando alcune teorie che vedono i servizi segreti come una sorta di stato nello stato, che ci lascia vivere nell'illusione  di essere protetti, costruendo a tavolino i buoni e i cattivi. 

I Personaggi
In questi complotti dell'ente vengono coinvolti i due cavalieri posti in antitesi, ossia Cuorenero e Lombidoro. Questi sono due personaggi contrapposti non solo nel carattere, ma anche nel loro modo di essere disegnati, così che possano essere visivamente inquadrati, in un solo colpo d'occhio, come il cattivo e il buono; ma, leggendo il graphic novel, scopriamo che non tutto ciò che ci viene presentato come malvagio è tale. 

Conclusione
In sostanza la trama racconta in maniera divertente dell'essere e dell'apparire. Ogni personaggio, compresa Nimona stessa, compreso L'Ente, si dimostrano effettivamente non essere quello che sembrano. 
Nimona è una storia di amicizia, a tratti di amore, molto moderna, che gioca sugli stereotipi della nostra società (e non di una società fantascientifica!) per capovolgerli, senza diventare mai banale. 
Confesso che inizialmente la trama stentava a decollare, semplicemente perché il modo in cui comincia la storia (Nimona che arriva a casa di Cuorenero, gli dice che vuole fargli da assistente e lui accetta così, senza particolari rimostranze o dichiarate motivazioni coerenti) non sembra voler portare da nessuna parte, e forse dà anche un po' fastidio. Sorvolando questo primo scoglio, la lettura si fa piacevole e man mano, pagina dopo pagina, le motivazioni che spingono i vari personaggi ad agire diventano chiari e coerenti
I disegni sono molto caratteristici e bidimensionali che si sposano molto bene con l'ambientazione, giocando un po' a scimmiottare la piattezza delle immagini medievali. 
La copertina rigida scelta da Bao è sensorialmente appagante, liscia in maniera "pescosa" (dopo petaloso posso dirlo, non rompete le palle), che mi viene voglia di accarezzarla di tanto in tanto, manco fosse il libro mostro dei mostri. Il prezzo è piuttosto alto (forse un po' troppo per una cosa che nasce come web-comic): 24 €.

//SPOILER: Mi sono molto affezionata a Cuorenero e Lombidoro, non lo nascondo. La loro storia d'amore è accennata appena appena, non succede niente di eclatante all'interno del fumetto, ma si intuisce che c'è qualcosa, e trovo che sia stato un modo molto raffinato e intelligente di inserire la tematica omosessuale, giocando ancora una volta sul sembrare/apparire.// FINE SPOILER

A chi lo consiglio
A tutti quelli che amano le favole di nuova generazione, le ambientazioni fantasy stravolte dall'immissione di elementi della nostra realtà quotidiana (alla Shrek, per capirci), a tutti quelli che vogliono leggere qualcosa di piacevole e divertente. 

A chi non lo consiglio
A quelli che odiano Shrek e tutto ciò che gioca sul mischiare fantasy e realtà; a chi non apprezza le ragazze/mostro; a chi si aspetta un fantasy alla "Signore degli Anelli". 

giovedì 7 aprile 2016

Aspettando il Comicon - Il Gioco Lugubre di Paco Roca [Recensione]


Come vi avevo annunciato in questo post, da oggi comincio (purtroppo per voi) una piccola rubrica volta a conoscere meglio alcuni degli ospiti del Comicon 2016. 
In particolare oggi è la volta di un piccolo piacevole volumetto di Paco Roca edito da Tunuè, per la collana Prospero's Books.



In breve, possiamo definire questo volumetto una specie di piccolo gioco fumettistico, che analizza uno dei tanti lati oscuri di un artista, Salvador Dalì, che nella sua vita ha avuto modo di far parlare di sé, talvolta anche nutrendo questi pettegolezzi per ampliare la sua fama di uomo strano, perverso, e forse anche per questo estremamente interessante, al di là del suo acclarato e indiscusso genio artistico.

Paco Roca
Non è un novellino né tanto meno uno qualunque. Trattasi di uno dei più premiati e famosi autori di graphic novel in Europa. Spagnolo di origine (nato a Valencia), nel corso della sua carriera si è specializzato sempre di più sul Graphic Novel, fino ad arrivare a scrivere il pluripremiato Rughe, ad oggi considerato da moltissimi la vetta più alta della sua produzione (e infatti ha vinto un botto di premi, ma di Rughe parlerò in un post apposito).
È un affezionato delle edizioni italiane Tunuè, con cui ha già pubblicato opere come L'inverno del disegnatore, Memorie di un uomo in pigiama, nonché il già citato Rughe.
Qui trovate il suo contatto twitter, che vi aiuterà a restare aggiornati con le sue novità.
Vi segnalo anche il suo sito ufficiale e il suo blog italiano


Il Gioco Lugubre

Nel momento in cui apriamo il volume, ci troviamo catapultati in un testo che, un po' alla Nome della Rosa, ci accompagna nell'esperienza dell'autore che racconta in che modo ha avuto l'idea di scrivere questo graphic novel.
Il Gioco Lugubre, è un libro scritto da Jonás Arquero, misterioso personaggio che per un certo periodo della sua vita (qui si parla dell'estate del '36) è stato segretario di Salvador Dalì. Roca ritrova questo libro in una vecchia libreria, se ne innamora, e decide di scriverci un graphic novel, cercando in tutto e per tutto, di restare fedele alle atmosfere e alla storia di Arquero.

C'è da sottolineare che si tratta dello stesso titolo di una delle famose opere del pittore, una delle tante che provocarono scalpore nell'opinione pubblica, che le trovava inquietanti, se non addirittura sconvolgenti o volgari.

Nonostante la fedeltà al libro, Roca sceglie di non utilizzare il nome di Salvador Dalì, preferendo rifarsi allo pseudonimo di Salvador Deseo. 
Le prime tavole del fumetto ci portano in un'atmosfera da sogno che immediatamente ci presenta la matrice principale del conflitto del protagonista: lui e la donna che ama, un amore impossibile.
La grandissima portata immaginifica delle opere del pittore catalano viene assorbita da Roca, che la riutilizza all'interno di tutto il volume per dare un tono straniante a tutta la narrazione, talvolta finendo con l'indugiare un po' troppo su delle visioni orrorifiche, sicuramente suscitate dalla lettura del testo di Arquero (sempre che esista), ma che forse tendono a mistificare un po' il vero spirito del genio creativo di Dalì.

Atmosfera più noir che surrealista
Il testo è rigorosamente in bianco e nero, ma un bianco e nero ombreggiato in una tonalità violacea, quasi a voler imitare un vecchio film giallo della tv, oppure le vecchie fotografie.
Tradisce la monocromia solo e unicamente per il rosso della pittura, che è come il rosso del sangue, e talvolta ti viene da chiederti se il sangue sia pittura e viceversa. Questa cosa è perfettamente in linea con il gioco che lo stesso Dalì metteva in scena davanti ai suoi ospiti, che spesso, sconcertati, si chiedevano se quello che il pittore faceva e diceva fosse reale o soltanto una montatura per creare un personaggio (della serie: ci sei o ci fai).
Vero o non vero che fosse, chiunque abbia scritto il gioco lugubre vive un viaggio surreale in una villa surreale abitata da gente che esiste sul limite dello straniante, portando avanti abitudini che per l'epoca certamente non erano ben viste, e che quindi facilmente potevano essere oggetto di fantasie che montassero un caso.
Il surreale portato avanti da Roca si discosta fortemente da quello inquietante (sì), ma in qualche modo vitale del pittore catalano. Roca supera il limite di inquietudine del sogno facendo sfociare immagini surreali in toni horror che non guastano la storia, ma nemmeno spaventano.

La storia
In sostanza, man mano che si va avanti con la lettura, non si capisce precisamente quale sia il punto centrale della storia, o quale sia il messaggio. Se è vero che Roca ha cercato di attenersi fedelmente al testo ritrovato, il testo certamente doveva narrare di un progressivo discendere in un abisso di follia, dovuto un po' all'atteggiamento da pazzo del pittore, un po' anche da quello che gli davano da bere e da mangiare. Un uomo solo che si trova insinuato nel cervello il preconcetto di andare nella casa di un pazzo assassino (e che forse ha anche fatto fuori il suo predecessore), certamente potrebbe essere facilmente suscettibile a tutte le stranezze che vede.
Le due trame portanti sono il suo amore per una ragazza del paese, osteggiato dal padre di lei, e l'altra la sua discesa nella follia, costretto a "subire" in qualche modo l'influsso del malvagio pittore. Le due trame si incontreranno verso il finale in un crescendo drammatico che porterà, alla fine, a scoprire qual'è il segreto che si nasconde dietro i quadri del pittore.


Conclusione
A dire il vero la trama non sorprende, non stupisce, non spaventa. Nonostante questo non posso dire sia spiacevole, per questo inizialmente parlavo di un gioco, una specie di esercizio di stile. I disegni sono estremamente caratteristici, ma secondo me aiutano anche loro, che hanno un non so che di infantile, a non entrare troppo nell'atmosfera di paura.

Per quanto il pittore Deseo possa essere caratterizzato bene nelle posizioni e nel sapiente uso della luce e della regia, non posso dire che mi sia parso particolarmente inquietante. Sembra un ometto ridicolo, pieno di sé, che tutti in qualche modo assecondano. Questo magari può essere voluto, come a rispecchiare un ritratto storico dello stesso pittore, ma certamente non mi aiuta a definire quest'opera un'opera Horror.

Ci tengo molto a sottolineare sto fatto della storia horror perché, leggendo le recensioni on line, si batte molto su questo, come per pubblicizzare il prodotto. Ma se io vado a comprare un prodotto e mi trovo tra le mani qualcosa che non è quella che mi è stata pubblicizzata, un po' me la prendo.
Per questo motivo vi dico che: la storia è carina, non eccezionale. Gradevole, talvolta grottesca, e divertente, certamente non horror. Non è un capolavoro, ma non è nemmeno da buttare, e aiuta in questo tutta la curiosità che ti viene addosso quando leggi di questo Arquero.
Possiamo dire che non è una di quelle opere che una volta che hai letto te le dimentichi. Ti viene anche voglia di indagare su chi sia sto tipo e se esista veramente un libro che si chiama Il gioco lugubre. Quindi sì, la mia valutazione nel complesso è positiva.

A chi lo consiglio
A tutti quelli che amano Paco Roca, quello di Rughe, e che vogliono conoscere le sue origini. A quelli che sono incuriositi da storie surreali. A tutti quelli che amano l'arte e la storia dell'arte, ai fans di Dalì che vorrebbero avere un altro punto di vista su questo autore.

A chi non lo consiglio
A chi cerca un fumetto horror, a chi ama trovare il pelo nell'uovo, a chi ama Dalì spasmodicamente e non riesce ad accettare che possa diventare ispirazione per altra arte.

venerdì 1 aprile 2016

Napoli Comicon, recensioni e #cosplaybrutti

Scrivo questo post perché prima di continuare con le recensioni e con la storia di Chameleon's Dish e tutto il resto appresso, vorrei cominciare ad avvisarvi di alcune nuove iniziative.

Inizia da oggi una piccola rubrica amatoriale  volta a conoscere alcuni degli ospiti del Comicon 2016 che si terrà a Napoli dal 22 al 25 aprile.


Ogni anno, appena si inizia a spargere la voce sugli ospiti del Comicon, faccio la spesa in fumetteria - che poi sarebbe la libreria di casa di Marco perché lui ha uno stipendio e io no -  e mi procuro le pubblicazioni (più o meno aggiornate) di questi autori, in modo da poter capire cosa mi sta succedendo intorno, e in modo da poter sfruttare appieno l'opportunità di conoscere fisicamente questi autori. Questo perché un po' sono secchiona, e un po' perché chi vuole fare questo mestiere deve sapere di cosa si sta parlando.

Tutte queste recensioni saranno dedicate a una o più opere di uno stesso autore, ma tenete sempre conto del fatto che si tratta di recensioni fatte da una che non viene pagata per scrivere (e per questo si sente libera di dire quello che vuole), e soprattutto sono fatte da una sola persona, cioè non c'è uno staff dietro di me che possa aiutarmi a leggere e scrivere più velocemente, quindi saranno poche.

Quello che posso dirvi è che si tratterà certamente di Paco Roca, di Atsushi Kaneko e di Noelle Stevenson, più tutti quelli che riuscirò a fare nelle prossime settimane (e che Marco riuscirà a prestarmi).



Ovviamente cercherò di scrivere un breve (speriamo) commento anche per quanto riguarda il Comicon in sé, un po' come feci per Lucca, cronache che trovate ai seguenti link:

- Lucca Comics: considerazioni personali parte 1
- Lucca Comics: considerazioni personali parte 2

Questo servirà anche a farmi capire se posso continuare su questa strada anche per il prossimo Lucca Comics, al quale spero proprio di poter andare.

Ovviamente, se riuscirò, inizierò a tenere una rubrica di #cosplaybrutti, se me lo lasciano far fare senza scendere alle mani. Per questa rubrica vi consiglio di tenervi aggiornati sulla mia pagina FaceBook.

Ok, il post è finito. Statemi bene. Cià.

ps: le immagini me le sono andate a prendere sulla pagine FB ufficiale del Comicon, che trovate qui.

mercoledì 30 marzo 2016

[Recensione] Batman v Superman: Dawn of Justice - nun mettimm 'e mamm 'miez

Dopo il meraviglioso film "L'uomo d'acciaio" in cui l'esagerazione dei buchi di trama trovavano l'apice nella proverbiale morte del cane e del padre di Clark (ma soprattutto del cane) in un uragano in tangenziale, ecco che la DC ci riprova, questa volta tirando in mezzo anche il povero Batman. Tutto questo forse nella speranza che la figaggine di uno scontro epico tra due titani fumettistici potesse di per sé essere un prodotto vincente, senza dover necessariamente dargli una solida architettura nella trama.

Soggetto di Jerry Siegel, Joe Shuster, Bob Kane, Bill Finger; sceneggiatura di Chris Terrio, David S. Goyer; regia di Zack Snyder. 

La cosa che ti viene da pensare, quando guardi questo film, è che chi l'ha scritto deve avere una pessima stima dell'intelligenza del proprio pubblico. Questo perché l'intero primo tempo tende a spiegarti per quale motivo Bruce ce l'ha con Superman, cosa che era resa piuttosto chiara anche dal primo trailer, dal secondo trailer, dal terzo trailer, dall'intro del film, dai primi dieci minuti di film, e non riesco a capire che bisogno ci fosse di rimarcarlo - con una lentezza spropositata e con toni seriosi (devo dire, molto alla DC) di un qualunquismo estremo e quasi adolescenziale - fino alla tanto attesa sfida tra i due supereroi. Sfida che, in effetti, dura 34 secondi e che potrebbe essere riassunto con un "nun mettimm 'e mamme 'miez", e che non ha soddisfatto la mia voglia viscerale di vedere Superman ricoperto del proprio sangue.


Diciamo che, in generale, ho trovato il film brutto, addirittura noioso. Ma ci sono alcuni punti che mi hanno lasciata veramente più perplessa:

[iniziano SPOILER]

1- La lotta per il maschio alfa. Bruce odia Superman perché a causa sua sono morte un sacco di persone innocenti a Metropolis (vedi film: L'uomo d'acciaio). Clark odia Batman perché trova che i suoi metodi sono troppo "brutali", che poi affinale i criminali ci rimangono male se, oltre a pestarli, gli incidi un pipistrello addosso, eh. Disse la vacca al mulo.

2- Tutti i cattivi sono un po' pazzi, tutti i pazzi sono un po' cattivi. Lex Luthor è pazzo. Si capisce che un criminale che vuole mettere in ginocchio l'umanità non deve certamente stare bene con la testa. Evidentemente sono l'unica che non sentiva la necessità di un altro Joker.

3- La segretissima stanza del server. Lex dà una festa a casa sua invitando Bruce Wayne. Quale migliore occasione di una festa piena di gente, stampa e alta società, per cercare informazioni sui misteriosi traffici di Luthor?
Bruce, fingendo di cercare il bagno, ma guidato da un totalmente inutile Alfred, riesce a trovare la "fantastica stanza dei server" che si trova proprio accanto alle cucine, dove passa chiunque. E infatti il microscopico aggeggio che Bruce "parcheggia" - con un'ingenuità commovente -  vicino ai server gli viene fregato da Wonder Woman, che pure si trovava a passare di lì perché aveva appena finito di chiedere il bis di olive all'ascolana.

4- L'apocalisse. Bruce, in questo film, è un preveggente che riceve visioni dal futuro apocalittico che lo avvertono che se Superman impazzisce arriva la fine del mondo. Il tutto coronato da una visione intermittente di un Flash del futuro che non trova campo "mi scusi, signora? Pronto? Sono in anticipo? Pronto?"
Su questo punto ci tengo a chiarire una cosa. Leggendo la trama su Wikipedia  si legge
[Bruce] riceve una breve visita da parte di Flash, venuto dal futuro per avvisarlo del fatto che lui aveva ragione su Superman, il quale sarebbe impazzito a causa della morte di Lois: quindi l'incubo non era altro che il futuro e Flash, tornando indietro, ha modificato gli eventi."
Ora, immagino che questo sia un rimando a un film che non è ancora uscito, ma che magari uscirà tra poco. Mi dicono dalla regia, che potrebbe essere un riferimento a Injustice: Gods among us. Se così fosse, credo sia un errore del cazzo. Credo abbia senso fare rimandi ad altre continuity, purché questa cosa sia chiara e comprensibile a tutto il pubblico, il che implica che si deve trattare di riferimenti a film già usciti e non a film ancora da far uscire o a fumetti che non tutti quelli che vedono il film conoscono. Altrimenti non ci sarebbe nemmeno il bisogno di sfrantecarci i coglioni con la morte dei coniugi Wayne ad ogni stramaledetto film su Batman, no?

5- Ottenere il permesso per unirsi alla folla.  Superman viene messo sotto processo al Congresso perché non deve comportarsi come uno coi superpoteri. Lois nel frattempo riesce a scoprire che sotto tutto il bordello che è successo e che ha portato Superman a essere messo sotto processo, ci sta Lex. Ora, come sempre, Lois prende iniziative e cerca di raggiungere il Congresso per avvisare Superman, ma viene fermatata lì fuori da un ufficiale che le chiede un tesserino di riconoscimento, lei ottiene il permesso di passare per... infilarsi in un gruppo di manifestanti.  "Lei è sprovvista di cartello anti Superman, non le è permesso di stare qui!"

6- Rituali Kryptoniani. Lex si intrufola nella vecchia astronave di Zed e in un quarto d'ora riesce a scoprire e mettere in atto un rituale segreto e proibito kryptoniano, che viene dato in dotazione ad ogni astronave standard, se la paghi subito e non fai il finanziamento.

7- Il super duello delle mazzate alla cecata. Superman ha bisogno dell'aiuto di Batman per salvare la mammina, ma Batman non lo vuole stare a sentire. I due si incontrano e Iron-Batman comincia ad arretrare. Superman non capisce e gli va incontro perché così magari riesce a sussurrargli meglio all'orecchio quanto è preoccupato per la sua mammina, quindi Superman cade nel trappolone imprevedibile di Batman, che poi comincia a vatterlo con delle granate fatte di aerosol alla kryptonite. Superman si indebolisce e comincia a essere vattuto forte proprio.

8 - Guagliù nun mettimm 'e mamm 'miez. Superman agonizza e Batman si sente il testosterone a mille. A un certo punto Superman dice "Martha, salva Martha", e Batman si incazza ancora di più, perché gli dice "wa però e mamme mmiez no!" e comincia a vatterlo ancora più forte, gridando "perchè hai detto quel nome!". Lois, che prorio i cazzi suoi non se li vuole fare, siccome beve a secchiate ogni notte i super poteri di Superman, già sa tutto, anche se non era presente quando Superman ha detto "quel nome" e spiega a Batman che "Martha" è la mammina di Clarke.
Batman si sente coinvolto emotivamente dalla situazione di Clarke, solo perché anche la sua mammina morta si chiamava Martha. Quindi decide di mettere da parte il testosterone e unirsi a lui per sconfiggere il super cattivo.

9 - Le porte sono per le checche. A causa delle notevoli botte sul cranio prese negli ultimi tempi, e forse anche a causa di un attacco di senilità, Batman dimentica come si usano le porte, per cui entra nel covo dei cattivi che tengono prigioniera la mamma di Superman, una volta sfondando il muro, una volta sfondando il pavimento, con due scene praticamente identiche messe una dopo l'altra.

10- Le iniziative di Lois. Dopo una serie di mazzate alla cecata a un certo punto si unisce a loro anche Wonder Woman, e credo che quello sia stato il momento più alto di tutto il film, infatti è durato 30 secondi di assolo di chitarra elettrica. A un certo punto tutti realizzano che il super mostro risvegliato da Lex-Joker-Luthor è un Kryptoniano, quindi bisogna usare la kryptonite. Lois, che non era presente a nessuna delle scene in cui il mostro si capiva essere un Kryptoniano, sempre avvalendosi dei suoi super sensi dovuti alle secchiate nominate pocanzi, già sa cosa deve fare e rischia di affogare per recuperare la lancia di kryptonite costruita dall'ingegnoso Batman. Superman, che glie prude quando Lois è in pericolo, si fionda a salvarla, e già che ci si trova, cerca di recuperare la kryptonite. MA rischia di morire affogato perché la kryptonite gli annulla i poteri.
Qui mi sorge un dubbio: ma se la kryptonite era così potente, tanto da agire a raggio, che senso aveva l'aerosol di kryptonite fatto da Batman?

11 - La kryptonite. Ora, ovviamente, se Superman ha rischiato di affogare per prendere la lancia sott'acqua, non potrà essere lui ad usare la kryptonite per uccidere il mostro, no? E invece sì. Improvvisamente i poteri della kryptonite si annullano a causa della super magica forza di volontà di Superman, che riesce addirittura a volare con la preziosa lancia sotto all'ascella, finendo per il chiavarsi dentro al mostro, manco fosse un savoiardo nel cappuccino.

12- l'anello di fidanzamento. Una volta morto Clarke, Martha, che manco si fa i cazzi suoi, dice a Lois che il figlio aveva spedito a casa sua una sorpresa per Lois: un anello di fidanzamento con il quale le avrebbe chiesto di sposarla. Bellissima cosa.
"Hey, Lois, ho inviato a mamma l'anello con cui voglio chiederti di sposarmi, sorspresa!".

[Fine SPOILER]


Diciamo che il ritmo in generale dell'intera pellicola lascia piuttosto a desiderare. I buchi di trama sarebbero stati meno eclatanti se soltanto il tono del film fosse stato più leggero e se avesse lasciato spazio a qualcosa che alleggerisse un po' un'atmosfera appesantita dalla sensazione che la sfida tra i due supereroi fosse (fuori della trama) un semplice tentativo di sfruttare l'ansia del pubblico nel prossimo - e più promettente - Civil War, o che fosse (all'interno della trama) semplicemente una presa di posizione di Clarke e Bruce, messi l'uno contro l'altro dalla semplice voglia di dimostrarsi il maschio alfa.
Oltretutto si aggiunge a questo il mio dispiacere per gli attori scelti: Ben Affleck è un buon Bruce Wayne, non mi dispiace affatto. Henry Cavill mi piace un sacco, è un bel giovane, penso forse l'unico attore attualmente esistente che potesse rappresentare l'immagine che tutti noi abbiamo di superman. E poi Gal Gadot per Wonder Woman è strepitosa, una donna bellissima, anche lei perfetta per il suo ruolo.
Alla fine ci tocca dire che la DC non è la Marvel, principalmente perché si prende un po' troppo sul serio, e forse il tono più canzonatorio e leggero dei film della Marvel, nonostante i grossi buchi di trama, anche lì, fanno in modo che questi ultimi siano dei prodotti molto più freschi, molto più godibili, rispetto a questi scenari apocalittici e seriosi, trattati con maggiore infantilità proprio perché troppo impegnati a cercare di dare un messaggio che in fin dei conti non è più così necessario.


ps: (con spoiler) sono stata mandata sonoramente a quel paese dai miei amici - non a torto- quando ho fatto un discorso storico-culturale sulla figura di Superman. Superman nasce dalla fantasia di due autori, Siegel e Shuster, imbevuti di cultura ebraica, tant'è che le origini di Superman parafrasano le origini di Mosè. 
Ora, in questo film, ho trovato una serie infinita di rimandi cristologici, sia per quanto riguarda la trama in sé, sia per quanto riguarda l'utilizzo di immagini precise: una fra tutte, quando Superman muore, il suo corpo viene raccolto da Batman, Lois, Wonder Woman in una rappresentazione quasi precisa di una deposizione dalla croce. 
Tutto questo per dire che: la raffinatezza di alcune simbologie stonano ancora di più in un film che non sentiva affatto la necessità di averle, almeno non in questa maniera così tanto epica da rendersi ridicola, quasi fosse un monumento americano-repubblicano al limite del populismo.