martedì 21 luglio 2015

Galveston - recensione [contiene SPOILER]


La settimana scorsa ho finito di leggere Galveston, che è un romanzo edito in Italia da Mondadori.
Mi aspettavo di leggere un capolavoro, e quindi questo significa che partivo proprio male. 
Ma andiamo con ordine.



Nic Pizzolatto.
Questo signore con un nome strano e una faccia anche peggio, è uno scrittore e sceneggiatore statunitense di origine italiana (lo dice Wikipedia) che ha creato di recente anche la serie TV di successo "True Detective". 
Ora, la serie tv, almeno la prima stagione, è un capolavoro. Non lo è tanto per quanto riguarda i contenuti, quanto piuttosto per il "come" è stata fatta. Un capolavoro dai titoli di testa (forse i migliori titoli di testa degli ultimi mille anni) alle interpretazioni degli attori. Un "Hard Boiled" da manuale. 
Esatto: da manuale. Il signor Pizzolatto è stato un insegnante all'università. Insegnava proprio "Fiction e letteratura". 
La sensazione che ho avuto nel vedere True Detective è stata: chi ha creato questa serie tv sa esattamente come si costruisce tecnicamente una buona storia.
La sensazione che ho avuto leggendo Galveston è stata: questo è uno che ha seguito un manuale per costruire tecnicamente una storia. 
Quando si costruisce tecnicamente una storia, si ha difficoltà ad avere quel guizzo creativo che rende quella storia un qualcosa di effettivamente unico. Non tutti riescono a rendere una buona storia una bella storia. Fa parte della mia filosofia di vita, roba che si capisce studiando pianoforte: finché sarai preoccupato di ogni singola nota che suoni, non raggiungerai mai una padronanza tale da fare della tua esecuzione una comunicazione artisticamente soddisfacente.
Questo libro mi è sembrato un pappone di americanate mischiato bene, ma dal sapore poco convincente.

Galveston
Il libro racconta una storia americana, molto americana, molto banale, leggermente moralista, di quel tipico moralismo americano e puritano di chi si appassiona a filmetti di serie b d'azione e si scandalizza nel vedere le tette di Janet Jackson durante il Super Bowl. 
La trama la trovate QUI , perché mi scoccio di raccontarvela daccapo. 
Non ci sono buchi nella coerenza della storia, ma in generale non mi ha strappato le mutande. Non mi ha emozionato l'evoluzione (effettiva o presunta) dei personaggi, e non mi è parso un libro con picchi di estro particolarmente elevati. I colpi di scena me li sentivo arrivare con un netto anticipo, e questo va pure bene, perché significa che li ha saputi costruire, come tensione narrativa. Era il colpo di scena in sé il problema: non era un colpo di scena. Era prevedibile. 

I personaggi

Roy Cady: il protagonista è uno scagnozzo di merda che nella sua vita non è mai stato veramente felice, se non quando si drogava con la sua ex a Galveston. 
Che cosa rende una persona infelice? Un'infanzia triste, l'assenza di una figura paterna, una mamma mezza fuori di testa che si suicida, una giovinezza in un istituto dal quale scappa e va a trovare il suo vero padre, che però muore.
Possiamo dire che al nostro scrittore non bastava dare al suo protagonista un solo motivo per fare quello che fa, ma ne ha dovuti trovare un sacco per giustificare moralmente l'idea (questo è il sospetto che ho) di star scrivendo di un poco di buono.
La storia sostanzialmente è una storia di redenzione, come piace tanto agli americani. Il protagonista non ha raccolto la mia personale simpatia, perché probabilmente mal sopporto un certo tipo di debolezze che non mi aiutano ad entrare nella vicenda. La sua volontà di redimersi me lo ha reso un romanticone debole di cuore, un senza palle, un tipo che all'improvviso si caca sotto di stare morendo e non ha niente di meglio da fare che passare il resto dei suoi giorni a sperare di rendere una puttanella senza speranze e senza attributi degna di recuperare la sua esistenza. 
Questo Roy mi ha dato l'impressione di essere un pupazzone di gomma piuma che ragiona come un ragazzino di quindici anni, un personaggio che non è mai cresciuto, un personaggio che piacerebbe a chi pensa"che figo un mostro di uno e novanta che vuole salvare le ragazzine per redimersi!"
Posso affermare che non è il libro che consiglierei a chi si aspetta un conflitto interiore di un personaggio che non sia il tipico conflitto interiore di uno stereotipo uomo da film d'azione degli ultimi anni. Sembra quasi un Leon, però fatto male. 

Rocky: mi sono detta"se non riesco a immedesimarmi nel protagonista, almeno il coprotagonista potrebbe lasciarsi voler bene". Mai pensata cosa più sbagliata.
Rocky è una poveraccia che tiene tutto lei. 
Drogata? Ovvio. 
Zoccola? Ma certo, ha preso una brutta strada. 
Zoccola recidiva? Ovviamente, è la tipica donna debole che è convinta di poter fare solo questo nella vita. 
Naturalmente è stata stuprata dal patrigno, certamente se l'è vista brutta con l'ambiente che la circonda. Ha avuto una figlia dallo stupro, sua madre pure era un po' zoccola ed è sparita. Tutti gli elementi per rendere questa creatura una larva umana ci sono. Il suo modo di reagire alla violenza del mondo è snervante, banale, debole. Non rispecchia precisamente un modello femminile forte.
Forse era una cosa voluta, direte voi. 
L'idea che mi sono fatta leggendo questo libro è che quando un uomo superficiale scrive di una donna, la rende ancora più superficiale di quanto spereresti.
Un personaggio che non solo non è eroico, ma possiamo definire eroicamente banale, privo di spessore. Un tripudio di pensieri stereotipati infilati nella tipica principessina bella e dannata che non vede l'ora di essere salvata.
Il modo in cui la descrive lo scrittore, inoltre, è il tipico modo pseudo romantico maschilista di presentarti una donna che non vede l'ora di essere sopraffatta dalla vita. 
Ho la sensazione che, nella logica di Nic Pizzolatto, la contrapposizione tra questi due personaggi doveva far suscitare qualche scintilla nella testa di chi leggeva. Roy risulta in qualche modo eroico nel suo tentativo di salvare la vita di quella povera anima, mentre lei (che si chiama Rocky e mi fa pensare che anche l'assonanza dei nomi sia voluta) deve farti incazzare perché proprio non ci riesce a capire che può salvarsi. In qualche modo c'è una specie di titanismo in questi due personaggi, ma il fatto che siano personaggi rubacchiati da una serie infinita di storie identiche a queste, rende il loro titanismo piuttosto sterile.

Tutti quelli che vogliono scrivere devono comprendere una lezione importante: tutto è già stato scritto. La maggior parte delle situazioni drammatiche esistono già, le favole, la mitologia, gli stereotipi, sono stati eviscerati in secoli e secoli di letteratura. Ormai la cosa più importante da fare, se si vuole scrivere, è arrendersi a questo dato di fatto e rinunciare al "cosa" per il "come".
Se io voglio raccontare una storia di redenzione, posso farlo in mille modi. La scelta che ha preso Pizzolatto non mi sembra vincente, perché non solo ha scelto un "cosa" piuttosto abusato, ma anche il "come" non mi ha per nulla impressionata.
Ogni personaggio che si rispetti deve avere dei segreti. I segreti di questi personaggi erano segreti di pulcinella. Nulla che non ti saresti aspettato. Segreti che speravi non ti venissero rivelati perché leggendo veramente ci speri che succeda qualcosa che renda questo libro realmente memorabile. E invece no, ti devi fottere.

La struttura
L'unica cosa mediamente creativa di tutto il libro.
C'è un andamento alternante tra passato e presente.Nulla che non sia stato già visto, ma almeno è una particolarità. Il libro, senza questa trovata, sarebbe stato veramente insostenibile.
Nulla che non sia stato già visto, tra l'altro, proprio in True Detective, dove i nostri protagonisti giocano appunto tutto sul raccontarsi a vicenda in un "presente" che ti fa capire che nella narrazione del "passato" qualcosa è andato storto.
In Galveston prima vediamo la situazione iniziale del nostro protagonista,in cui si evince immediatamente il conflitto che fa scattare la molla della storia (il fatto che ha il tumore e deve morire, il fatto che viene quasi fatto fuori). E fin qui ok, l'inizio non è male.
Nella seconda parte vediamo il nostro protagonista molti anni dopo: è diventato un simpatico vecchietto che porta a spasso il cane. Colpo di scena: in realtà non è morto per il tumore.
Bella trovata! Ti poni un sacco di domande su come mai non sia morto e sul perché vada in giro con un cane e senza un occhio.
Viene poi complicata la vicenda con un altro conflitto: qualcuno lo sta cercando. Cosa vorranno mai da questo vecchio?
Il ritmo è buono, la tensione regge. Un ottimo inizio, scrittura piuttosto scorrevole, per le prime pagine ti sembra di avere davanti davvero una cosa scritta bene.
Il problema è che già sai, ma proprio fin dall'inizio te lo senti scendere, che chiunque stia cercando Roy non è per farlo fuori. In pratica, fin dal secondo capitolo sai perfettamente cosa aspettarti dalle ultime pagine. Questo ritmo che hai creato cercando di mettere insieme questi colpi di scena, mescolando le carte, andando avanti e indietro sulla linea temporale, non solo non confonde il lettore, ma il contenuto di tutta la storia è così scontato che tutta la tensione che hai cercato di tirare su scema via come un palloncino che si sgonfia.

Lo stile di scrittura.
Bisogna premettere che ho letto la traduzione in italiano. 
Detto questo è apprezzabile che non faccia periodi minuscoli, come buona parte della letteratura americana e inglese degli ultimi anni.
Ha qualcosa di pulp, il protagonista parla come un Bukowsky ripulito e con un punto di vista da vecchio filosofo che ne ha viste tante.
C'è una specie di auto compiacimento nella scrittura, una mania di descrittivismo emozionale un po' da pippotto mentale, un po' troppi fronzoli, al limite della ricchionata.
Diventa particolarmente snervante immaginarsi un ex scagnozzo della mala appena alfabetizzato che pensa e parla in quel modo. Viene giustificato tutto quasi a fine libro con un "ma io tanto in carcere leggevo un sacco di libri". La scusa non regge, mi è sembrato davvero poco credibile. 

Conclusione.
La sensazione generale che ho avuto nel leggere il libro è che  Nic Pizzolatto abbia scritto una cosa semplice senza troppi picchi di altezza letteraria, una trama poco originale, personaggi scontati. Sembra più un esercizio di scrittura che un romanzo.
Certamente non possiamo dargli addosso per averci provato, e penso anche si sia tirato su dei bei soldi, soprattutto dopo il successo della serie TV.
Il libro è del 2010, quindi immagino che nel frattempo abbia imparato a essere meno banale. Non credo che rileggerei facilmente un suo libro, ma penso che bisognerebbe dargli un'altra possibilità, sperando che sia migliorato nel frattempo, almeno per quanto riguarda l'originalità della trama.
Tutto questo mi fa pensare che quando scrivi tecnicamente bene una storia, con tutti i colpi di scena e il resto al posto giusto, non è detto che venga fuori un capolavoro. Forse manca di estro creativo e questa storia andrebbe bene per farne una serie tv, o un filmetto, ma non credo che abbia la portata di un romanzo, di un'opera letteraria coi controcazzi.
Forse, dopo il successo della serie tv della HBO, bisognerebbe cercare di non divinizzare troppo questo autore e di farlo tornare tra i comuni mortali. Un buon scrittore di serie tv, un buon soggettista, un buono sceneggiatore, non è detto che debba essere un bravo scrittore. O, almeno, non è detto che tutto quello che faccia sia oro.

A chi consiglio di leggerlo: a chi legge perché deve perdere il tempo. A chi piacciono i Thriller con poca azione e con segreti di pulcinella da svelare. Ai fan boy di True Detective. Ai ragazzi, principalmente, alle ragazze un po' meno perché quasi tutti i personaggi femminili (quasi nessuno positivo) del libro sono descritti da un uomo che crede fermamente nella contrapposizione polare tra i due sessi (tema, ahimè, fin troppo superato, a mio parere).

A chi non consiglio di leggerlo: a quelli che, come me, si sono un po' rotti il cazzo di leggere storie tutte uguali. Alle ragazze che non amano personaggi femminili di poco spessore. A chi non è piaciuto True Detective.


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