mercoledì 7 gennaio 2015

Pino Daniele, per me.



Il ricordo più lontano di Pino Daniele risale alla mia infanzia.
Non mi ricordo chi, in famiglia, mi cantò che "ogni scarrafone è bello a mamma soja", forse per darmi qualche imparata di creanza. Dovevo aver preso in giro qualcuno.
Io ero così piccola che non avevo ben presente cosa fosse uno scarrafone, e in effetti mi dissero che era quella merda di insetto nero e schifoso che si intrufola nelle dispense della gente.
Quante cose sono cambiate da allora?
Adesso a Napoli non ci stanno più gli scarrafoni di una volta. Quelli neri e veraci, che se cercavi di ammazzarli rischiavi pure che ti prendevano a male parole, sono estinti.
Adesso siamo invasi dalla blattella americana, quella che fa ancora più schifo e quando la schiacci non fa nemmeno CROCK, ma CHIACC.

La stessa canzone, quando ero piccola, per poco non mi faceva morire di paura.
Ero in Grecia con mio cugino. Lui è più piccolo di me e al tempo doveva avere tipo sei anni, e io otto.
Mio zio, greco come pochi, mi aveva terrorizzata su una specie di coprifuoco nell'ora della pennica. Da noi si chiama la "controra", non so se nel resto del mondo la chiamano così.
Beh, durante la controra in Grecia mi avevano convinto che non dovesse volare una mosca. E in effetti pure i bambini del quartiere (non molto diversi dagli scugnizzi napoletani) non scendevano in strada a giocare.
Lo zio raccontava che una volta da bambino lo avevano arrestato perché faceva chiasso nella controra. Io non ci ho mai creduto, ma ho sempre pensato che fosse un modo abbastanza convincente di far stare buoni due piccole pesti.
Io non dormivo mai, il pomeriggio. Solo in Grecia. Ma non quel giorno.
Mio cugino si mise in un posto che aveva un'acustica migliore del teatro di Olimpia, e si mise a cantare: "oggi è sabato, e domani non si va a scuolaaaa... Oggi è sabato MENO MAAAAAALEEE!"
E urlò così forte che io gli diedi uno schiaffo sul braccio e avevo paura che venissero a sgridarci in greco (non avrei capito un cazzo di cosa ci avessero detto).
Lui, mio cugino, con la solita faccia di cazzo che non si è mai levato di dosso, mi disse "ma la canzone fa così, è lui proprio che urla" con un tono così angelico e disarmante che io mi misi a ridere e poi ce ne scappammo perché avevamo paura di essere colti in flagranza di reato.
Fortunatamente nessuno si è mai preoccupato di venirci a fare una pezza per aver fatto casino, quel giorno. Anche se con mio cugino alla fine venivo sempre sgridata io, perché mia nonna mi aveva investita della carica onorifica della cugina maggiore, e in quanto tale ero quella responsabile che doveva tenere a bada quel diavolo scatenato di mio cugino (non dovevo farlo correre, perché poi se sudava si ammalava, non dovevo sovreccitarlo perché poi faceva casino, non dovevo fare cose pericolose, allontanarmi, alzare la voce, dire parolacce, dare il cattivo esempio e altre cose che fanno le persone grandi).

Crescendo mi sono appassionata ad altre canzoni. Yes I Know My Way, una su tutte. Che aveva quel non so che di americano. Girava per un periodo un video di una Featuring con il cantante dei Depeche Mode, oppure me lo sono sognato? Non lo trovo da nessuna parte quel video, cazzo. E c'era pure un altro italiano, fosse Jovanotti? Bah, non mi ricordo.

Giocavo a carte con mamma, papà, la mia amica Sara e i suoi genitori. Si facevano partite infinite a Conchè le sere d'estate. Io e Sara eravamo troppo piccole per renderci indipendenti le vacanze, al tempo, e comunque Pino Daniele c'era.
C'era Guido, il padre di Sara, che cantava "a me me piace 'o blues..." mentre si guardava le carte, e ripeteva solo "a me me piace 'o blues" fino a quando Maria non gli ha detto di smettere. Guido ha cominciato a cantare "a me me piace 'o giallo".

Quando l'ho dedicata a tutti i miei amori adolescenziali finiti nella merda, compreso l'ultimo amore adolescenziale per il mio attuale ragazzo, che ha subito una bella crisi qualche anno fa. 
Pigro, uscito nel periodo delle feste di 18 anni. La mettevano di solito nei locali dopo l'apertura della torta, in quella fase successiva ai regali nella quale non si capisce se la gente se ne deve andare o deve restare ancora un po'. Ero alla festa di 18 anni di un tipo che mi piaceva da morire. Il mio ragazzo dell'epoca non era voluto venire alla festa perché sapeva che a me piaceva quel tipo e lo odiava a morte, ma io ero tanto bisbetica e stronza (e bene facevo, perché lui non era meno stronzo di me) che ci volli andare per forza.
Io guardavo quel ragazzo che mi piaceva, vestito come un cazzone, ciondolare in giro tra la gente, e mi ripetevo a mezza voce "ho bisogno di te, ho un maledetto bisogno di te", perché quella musica me la sentivo calzare addosso come la scarpetta di cenerentola.
E come tutte le scarpette si dissolse con la mezzanotte.

Quanno Chiove me la canto ogni volta che schizzichea, o che sono malinconica, guardando fuori della finestra.

Io per Lei avrei voluto che me la dedicassero... in quanti? Forse tutti quelli che mi sono piaciuti. Ma loro hanno preferito dedicarmi altre canzoni, perché nessuno di loro era disposto a "cambiare, o smettere di rovinare sempre tutto, per colpa della solitudine". 

Il fatto è che io non ci posso andare a Piazza Plebiscito, perché il nuovo anno mi ha portato l'influenza insieme al carbone della calza. 
Qualche fan sfegatato probabilmente mi direbbe di andare in piazza lo stesso, per Pino. Ma io non sono mai stata una sua fan sfegatata, ma sono di Napoli, e qui a Napoli Pino Daniele era un'istituzione. Molto più di un Giggidalessio a caso. 
Forse non faccio parte di quella generazione che si è vista passare davanti Troisi, che si è affezionata a Pino Daniele anche grazie a lui. Quando è morto Troisi ero troppo piccola per capire cosa rappresentava culturalmente tutto quello che stava succedendo in quel momento storico a Napoli. Ma adesso lo so. E so che la morte di Pino Daniele è un colpo terribile per molte persone che avevano creduto a un sogno di rinascita culturale, di un riconoscimento nazionale per il valore di questa città, e di chi ha sempre fatto il possibile per tirarsi su da anni e anni di degrado e di assenza dello stato.
Non me ne fotte un cazzo delle polemiche. Non me ne fotte un cazzo di dove lo vanno a seppellire.
Si può capire perfettamente la volontà dei figli di seppellirlo il più vicino possibile, per andarlo a trovare. Non capisco perché non fare i funerali a Napoli, però.
E' un dato di fatto che Pino Daniele sia un personaggio pubblico. 
E' un personaggio pubblico in una città dove si santifica tutto ciò che è in grado di rappresentare una Napoli bella agli occhi del resto del mondo. In qualche modo sarebbe stato "politicamente" corretto lasciare che un solo funerale, il primo e l'unico, fosse fatto a Napoli. 
Ho detto la mia. 
Ciao Pino.