martedì 29 dicembre 2015

Star Wars - The Force Awakens [una recensione piena di SPOILER]

Oggi sento la necessità di parlare di Star Wars, un po' come si sente la necessità di parlare con degli amici, davanti a una birra, di tutte quelle cose difficili che ti succedono nella vita.
Ecco, per me questo Episodio VII è uno di quei momenti difficili della vita, principalmente perché ancora non sono riuscita a metabolizzarlo. Cioè, non ho capito se mi piace oppure no, per cui ogni volta che mi chiedono "Ma a te Episodio VII è piaciuto?" io vengo presa da attimi di panico peggio di quelli che ti vengono quando ti chiedono cosa fare a capodanno.
Dunque cercherò di spiegarmi al meglio possibile per farvi capire il mio punto di vista su tutta questa storia. E scusate se scrivo troppo, ma era il momento di eviscerare.



In Generale

Quello che posso dirvi fin da subito è che non ho apprezzato affatto quelli che sono stati contro a prescindere, quelli che pare che J. J. gli abbia ammazzato il cane e quelli che si sono schierati subito in favore di questo film parlando di un capolavoro. Le reazioni estreme le ho mal sopportate, anche perché trovo che questo non sia un film da reazione estreme. Probabilmente è quel genere di film che si potrebbe cominciare ad apprezzare con il tempo, come dimostra ad esempio il fatto che io ho dovuto vederlo due volte prima di pensare di poterne scrivere.
Nel complesso non riesco a dire che il film sia veramente ma veramente brutto.
Certo, partivo già dal presupposto che si trattava di una sfida molto complicata. Detto da una che non è nessuno, se un giorno qualcuno mi avesse proposto di sceneggiare il continuo di Star Wars io avrei rifiutato. Questo perché da un lato ci sono cresciuta e non me la sarei mai sentita di mettere le mani in qualcosa che secondo me era perfetta così com'era, e soprattutto perché si sarebbe trattato di entrare in qualche modo nella storia del cinema, dovendo fare i conti con tutto il peso che questa cosa comporta.
Sapevo perfettamente che questo film non sarebbe stato un capolavoro, semplicemente perché gli sceneggiatori non erano tranquilli ed avevano una serie di paletti da rispettare, come è ovvio che sia. Era una sfida persa in partenza.
Quello che credo abbiano cercato di fare è creare un film che andasse d'accordo con tutti i nostalgici, e allo stesso tempo che cercasse di coinvolgere nel fenomeno "Guerre Stellari" anche tutta quella marmaglia di coglioni che non vogliono vedersi i film vecchi solo perché "sono vecchi".
Per fare questa cosa secondo me hanno agito su due livelli: hanno riempito il film di citazioni per nostalgici per accattivarsi il vecchio pubblico, e hanno dovuto inzottare tutta la parte centrale del film con spiegoni che rendessero al nuovo pubblico più semplice capire il filo narrativo derivante dalle vecchie saghe.

L'inizio non era male, prometteva anche bene. Credo che i problemi veri e propri sorgano esattamente nel momento in cui si è posta la necessità di dover dare spazio e presentare Han Solo.
Ho visto questo film due volte. La prima volta non mi ha lasciato niente di buono, la seconda volta, invece, ho fatto più attenzione e sono riuscita ad apprezzare alcuni dettagli in più che mi hanno fatto ricredere su un mio iniziale rifiuto.
Ma andiamo con ordine.

I Colpi di Scena

Credo che ci sia stato un serio problema nella scrittura stessa dell'episodio. Avendo fatto una scuola di sceneggiatura non solo votata ai fumetti ma anche al cinema, ho studiato che per strutturare bene la storia (qualsiasi tipo di storia) ci devono essere dei precisi punti da tenere presenti, anche per dare il ritmo alla trama. Questi punti, detta in soldoni, sono l'incipit (situazione di equilibrio), il primo colpo di scena (situazione di squilibrio), il punto centrale (in cui si arriva ad affrontare nella maniera più pesante il conflitto), il secondo colpo di scena (cui segue la situazione di riequlibrio).
Io credo che abbiano pisciato il primo colpo di scena e il punto centrale. Per come l'ho vissuta io, loro hanno messo dalle parti del primo colpo di scena il fatto che il cattivo, Kylo Ren, fosse il figlio di Han e Leia, l'hanno buttato così, senza creare un pathos su questa specie di segreto. Poi hanno messo come secondo colpo di scena la morte di Han Solo.
Ecco, l'errore è stato qui: dovevano costruire un mistero sul fatto che il figlio di Han e Leia fosse "prigioniero" (o nelle mani) del Primo Ordine, e solo al momento in cui Han viene ucciso (o subito prima) si doveva scoprire che ad ucciderlo è stato suo figlio.
Badate bene, non intendo dire che Han doveva scoprire che suo figlio fosse Kylo Ren mentre moriva. Intendo dire che NOI dovevamo scoprirlo solo in quel momento.
A dire il vero mi era piaciuta molto quella strana sensazione conflittuale che mi avevano fatto nascere nel pensare che forse il cattivo votato al lato oscuro fosse Luke. Secondo me dovevano sfruttare meglio questa specie di metagioco che si era venuto a creare nei fans e tirare su questa scia fino al momento dell'agnizione di Ben, così come sembrava volessero fare nelle prime battute del film, in cui si sottolinea che Kylo poteva essere messo fuori gioco da una serie di problematiche "familiari" dovute al coinvolgimento di Han.

Quando ho detto questo mio punto di vista ad alcuni amici, questi mi hanno fatto notare che forse gli sceneggiatori non hanno preso questa strada per non ripetere la scena di Vader e Luke dell'Impero Colpisce Ancora. Sinceramente? Hanno voluto fare tante di quelle citazioni alla vecchia serie, che secondo me ci sarebbe stato questo colpo di scena costruito così, a maggior ragione perché si trattava di citare forse il miglior colpo di scena di tutta la storia del cinema. Sono stata molto delusa.
Oltretutto c'è da dire che tutta la trama procede in maniera estremamente lineare, con una serie di eventi che si susseguono meccanicamente, freneticamente, senza creare una vera e propria sensazione di aspettativa, di scoperta e di pathos.
Questa cosa è stata lucidamente espressa da Marco nel suo BLOG con le seguenti parole:
1. Primo errore pesante, secondo me il più grave: per tutto il film manca la sensazione di scoperta e pathos che invece pervadeva i precedenti, grossomodo anche I-II-III. Tutte le azioni sono largamente anticipate dai dialoghi e dagli accordi fra i personaggi, e NIENTE va mai diversamente da quanto pianificato. Ora andremo a prendere le informazioni su Luke, ok, qualcuno nel frattempo crepa, ma le prendono. Ora andremo a parlare con una persona che porterà BB8 alla base, vanno, la trovano, ci parlano, e poi BB finisce alla base. Ora andremo a distruggere lo Starkiller facendo saltare l'accumulatore e poi distruggendolo poichè l'energia senza accumulatore farà collassare l'arma, e va esattamente così. Questo è seccante, e dopo la prima metà del film in cui capisci che andrà così, cominci a non aspettarti niente di diverso.
Han Solo doveva morire

Adesso vi dico un fatto: sono una di quelle (poche) ragazze che sono cresciute guardando più volte Star Wars che La Sirenetta (o qualsiasi altra principessa a cazzo), e il mio personaggio preferito, un punto di riferimento costante, è sempre stato Han Solo. Per questo motivo la morte di Han credo mi abbia traumatizzata in maniera considerevole, ma devo confessare che non ho pianto.
Io sono una che piange al cinema, anche spesso, perché entro nelle storie e mi lascio emozionare molto. Però questa volta no, non solo perché quella scena era totalmente telefonata (telefonata, guarda caso, dal momento esatto in cui ho scoperto che Ben era suo figlio), ma anche perché ero certa che un personaggio scomodo come Han, estremamente carismatico, doveva essere eliminato in qualche modo.
Si potevano fare un sacco di scelte, riguardo i vecchi personaggi della vecchia serie. Potevano dargli un ruolo secondario, da Leader (come hanno fatto con Leia), e potevano dargli un ruolo centrale (come hanno fatto con Han).
Se fossi stata in loro, avrei cercato in ogni modo di dare ai personaggi vecchi un ruolo simile a quello di Leia, perché si sa che sono personaggi molto forti che in qualche modo avrebbero monopolizzato la storia. Un personaggio come Han, a te sceneggiatore, sicuramente finisce con lo scapparti di mano, prende direzioni che non volevi. So perfettamente che nel momento in cui hanno scelto di dargli un ruolo principale hanno firmato automaticamente anche la sua condanna a morte. Han doveva morire, era ingestibile. E lo si capisce anche vedendo la pessima scelta che hanno trovato per farlo saltare in mezzo alla storia: il destino ha deciso che quei due, scappando, finissero nel Falcon e, sempre il destino, ha deciso che a trovarli dovesse essere proprio Han. Questo tema del destino era forte anche nella vecchia trilogia, ma non così fottutamente predominante. Altro errore.
Quando troviamo Han, siccome hanno scelto (come vi dicevo prima) la strada di far conoscere la vecchia saga anche ai novellini, hanno dovuto necessariamente presentarlo in qualche modo. E lo hanno fatto nella maniera più inutilmente spettacolare possibile: facendolo rincorrere non da UNA ma da DUE squadre di cacciatori di taglie. Era veramente necessario?
Il personaggio di Han in pochissimi minuti da super Canaglia diventa un vecchietto buontempone. Non mi è piaciuto il modo in cui hanno reso le battute eccessivamente cariche. Lo hanno fatto diventare quasi una macchietta. Altro errore.
Ma c'è da dire una cosa: quasi tutte le ragazze fan di Star Wars con cui ho parlato, hanno visto in Han Solo il loro personaggio preferito. Non prendetevela, è un dato di fatto che alle ragazze piaccia la Canaglia, soprattutto a ragazze che, pur non facendolo con coscienza, si immedesimano molto in Leia.
Rey è un personaggio che in qualche modo, diventando nuova pilota del Falcon, andando d'accordo con Chewbacca, e trovando in Han una figura paterna, fa da ponte di collegamento emotivo con tutte queste fan di Star Wars e con le nuove fan che hanno così modo di sentirsi in qualche modo più coinvolte nella vicenda. Questo, secondo me, è stato un buon numero, mi è piaciuto, e come sempre devo sottolineare che è molto in linea con le tendenze degli ultimi anni in cui si mostrano donne forti, maschiacce, padrone di loro stesse e che non aspettano di essere salvate dal principe azzurro, tendenza che, secondo me, nella storia del cinema si rispecchia perfettamente nel personaggio di Leia Organa, forse la donna "fantasy" più cazzuta della storia, principessa da salvare, sì, ma fino a un certo punto.
Posso dire una cattiveria? Quando mi hanno ucciso Han (il MIO Han), mi è venuto da pensare: Ma porca merda, non potevano fare fuori Leia? È diventata una vacca!

I Nuovi Personaggi



Analizziamo la vecchia serie: c'era il ragazzotto di campagna che voleva un grande futuro, animato da grandi ideali; c'era la principessa con due palle cubiche che lottava per la libertà e la democrazia; c'era una canaglia a cui fregava solo di sé stesso, in apparenza, ma che alla fine si rivelava essere un puro di cuore, un uomo mosso da qualche ideale, più di amore e amicizia che da una reale volontà di ribellione allo stato delle cose.
E poi il cattivo dei cattivi, il cui segreto consiste nel conservare ancora parte della sua umanità.
Oggi chi abbiamo in soldoni?

Poe Dameron
È un super pilota mosso da... ideali? Presumibilmente sì, ma non è che si capiscano proprio alla grande le sue super motivazioni. È ben caratterizzato nel modo di porsi, negli atteggiamenti, questo lo rende un personaggio apparentemente interessante, ma è davvero un personaggio profondo?
Qualcuno lo vede come il futuro Han Solo. Secondo me è un personaggio che di Han conserva solo in parte la sua ironia e arroganza, forse un po' il modo di vestire, ma secondo me sarà un personaggio completamente diverso.

Rey. 
Parliamone. Dovrebbe rappresentare quello che un tempo era stato Luke, ma l'ho trovata un personaggio a dir poco trasparente. E non intendo solo fisicamente. Come Luke ha qualche reticenza a lasciare il suo pianeta e ha un rifiuto iniziale verso la "chiamata" della spada laser.
A Luke viene trucidato ciò che resta della sua famiglia, da qui la potente motivazione che gli fa accettare in qualche modo la sua missione.
La motivazione di Rey come viene espressa? Uno psicopompo alieno di cui nessuno ha mai sentito parlare e che sta anche piuttosto sul cazzo, le dice che deve guardare avanti (e mi viene in mente Yoda quando dice di Luke "Durante tutta la sua vita lui guardato lontano, al futuro, all'orizzonte; mai la sua mente su dove lui era, su ciò che faceva") per ritrovare la sua famiglia. Che sia l'ennesimo modo di farci capire che stanno preparando dei colpi di scena banali e telefonati?
La faccia della tipa ricorda in maniera impressionante Anakin dell'Episodio I. Vi prego, inventatevi qualcosa di meglio che nuove discendenze Jedi.

Sia di Poe che di Rey conosciamo quello che sanno fare attualmente a livello di capacità di combattimento estremamente facili da esteriorizzare. Ma per quanto riguarda la loro introspezione, i loro conflitti, i loro segreti e le loro menzogne, in realtà non conosciamo niente. Ed è facile dire "poi si vede nei prossimi film" perché, a dirla tutta, in Episodio IV questi conflitti e quelli che sarebbero potuti maturare successivamente erano già ben visibili, da toccare con mano.

FN-2187
Detto Finn, credo sia l'unico personaggio che abbia avuto una scrittura vincente. L'idea di far pentire uno Stormtrooper è in sé qualcosa di geniale per una serie di motivi. Prima di tutto ti fa capire subito che il Primo Ordine non è L'Impero. Nell'Impero una cosa del genere non poteva succedere. La sua storia, seppure accennata, la si capisce abbastanza bene e fornisce un quadro preciso anche delle modalità con cui il Primo Ordine si muove: rapisce i bambini e li addestra a diventare reclute prive di personalità e obbedienti agli ordini, anche quelli più crudeli. Le motivazioni che muovono questo personaggio sono forti, funzionano, si capisce che vuole scappare e non ha ideali, ma allo stesso tempo si capisce anche che qualcosa, che sia la volontà di giustizia o un'attrazione verso Rey, gli creano un conflitto interiore che fa venire fuori quello stesso meccanismo che rendeva Han Solo un personaggio vincente della vecchia saga. Credo che sia lui un nuovo Han Solo, più che Poe Dameron.

Kylo Ren




Ha fatto schifo a quasi tutti quelli con cui ho parlato, ma io non sono per forza della stessa idea. Trovo che in generale l'idea che un ragazzino stupido e sociopatico si metta in testa di fare il super cattivo perché, contrariamente al volere dei genitori, si è trovato ad idolatrare il nonno, sia un'idea vincente, che ben si rivolge alle nuove generazioni di ragazzini.
Questo cattivo è un cattivo isterico, insicuro. Rabbia, insicurezza, paura, sono tutte cose che portano al lato oscuro, ed è giustissimo vedere un cattivo in formazione, un cattivo che non ha ancora completato il suo addestramento per diventarlo a tutti gli effetti. La maschera credo che la tenga proprio per far sì che nessuno lo guardi in faccia, siccome ha un viso che tutto è tranne che un viso da cattivo. è un personaggio molto complesso che non mi è dispiaciuto affatto, nemmeno nelle sue sparate di cazzo quando se la prende con i macchinari della base dimostrando tutta la sua frustrazione da checchina.
Devo segnalare un altro pesante errore della sceneggiatura: nel Ritorno dello Jedi, quando Luke è su Endor e si consegna a Darth Vader, si scambiano alcune battute circa il conflitto interiore di Anakin. La risposta di Vader è "In me non c'è nessun conflitto", e il ragazzo viene consegnato all'Imperatore. Quella scena si chiude su Vader che scruta l'orizzonte.


Una scena muta, piena di significato, perché senza spiegazioni ed in pochissimi secondi, un essere privo di un viso espressivo riesce a farti capire immediatamente tutto il suo effettivo conflitto interiore. Una scena eccezionale.
In questo nuovo film a un certo punto vediamo Kylo Ren che parla con la maschera scamazzata di Vader dicendo in una maniera estremamente didascalica e per lo più ridicola di essere in un profondo conflitto, sentendo il richiamo del lato chiaro. Quella scena mi ha fatto piangere dalle risate, prima di tutto perché vedere un cattivone che fa la checchina perché non vuole essere buono è proprio una scena ridicola, ma soprattutto mi ha fatto ridere perché ho percepito precisamente la difficoltà degli sceneggiatori di riuscire a descrivere uno stato d'animo profondo e complesso, che richiedeva forse una scena più intima, muta, e non così maledettamente didascalica. Sono stati degli incapaci, e questo errore in un film che vive nella scia di un capolavoro che è stato in grado di creare quella che vi ho postato, non è affatto perdonabile.

La Musica

Non so se avete inoltre notato un grande assente: la musica. Non c'è un tema, o una musica particolarmente avvincente per sottolineare la battaglia. Abbiamo il solito tema della Forza, abbiamo un vago accenno al tema imperiale, abbiamo il tema per Rei, specifico, leggero, femminile, ma non abbiamo una cazzo di colonna sonora memorabile che sia all'altezza non solo della Saga originale, ma anche della Saga degli episodi I-II-III (di cui si può parlare malissimo da qualsiasi punto di vista, ma non per quanto riguarda l'aspetto musicale).

Conclusioni

Non posso dire che il film non mi è piaciuto affatto, ma non è un film che secondo me si presenta all'altezza della saga originale. C'è da dire che preferisco di gran lunga questo Episodio VII a Episodio I-II-III in blocco.



Ci sono una serie di cose che mi sono piaciute un botto, come ad esempio alcune camere nella fuga del Falcon dai caccia imperiali su Jakku, tutte le camere che riguardano in generale le battaglie con i caccia, la sensazione di essere finita in un mondo che vive ed esiste anche quando esco dal cinema, l'idea di aver rivisto i vecchi attori in gioco.
Ho trovato effettivamente meravigliosi alcuni scenari, soprattutto quelli di Jakku. L'idea stessa che ci fossero le enormi astronavi dell'ormai antico Impero spiaggiate (letteralmente) a fare da antichi reperti archeologici da cui la popolazioni trae il suo sostentamento rivendendo pezzi al mercato, è stato veramente un colpo di genio di quelli alla George Lucas, quelle cose che nella vecchia Saga ti facevano pensare che quel mondo non smettesse di vivere quando la macchina da presa smetteva di riprenderlo.
Insomma, ha il suo fascino anche quell'ultima bellissima scena in cui vediamo quello sguardo di Luke, uno sguardo che ti lascia aperto a infinite possibilità.

Quelle cazzate che ci sono, però, sono veramente pesanti.
Posso anche soprassedere sulla morte del MIO Han, ma non posso sopportare che la ovvia e prevedibile rabbia di Chewbacca venga lasciata passare così in secondo piano. Chewbe in quel momento doveva rappresentare la rabbia di un'infinità di fan che si vede privato di un caposaldo della propria giovinezza, doveva impazzire, distruggere tutto, e invece si esibisce in un semplice lamento e poi va a prendere il Falcon parcheggiato in seconda fila per scappare.
Non voglio allungare ancora il brodo con le altre cose che mi hanno fatto schifo, per cui ve le accenno soltanto, tanto sapete bene di che parlo: il risveglio di R2; l'implausibilità delle motivazioni che hanno fatto allontanare Luke dal suo compito; l'idea che tutto il bordello fatto è per trovare un pezzo di una mappa; l'idea che il cattivo basa la sua esistenza partendo dall'esempio di suo nonno, ignorando totalmente il fatto che il nonno alla fine si è redento (!!!).
Come vi dicevo, il film in sé non è male, se non fosse esistita la saga originale. Me lo rivedrei anche con piacere, ma resta sempre il fatto che non rappresenta quello che io mi sarei aspettata da J. J. Abrams.
Molti obiettano che tutte queste cose lasciate in sospeso in questo primo episodio di una trilogia, saranno ben motivati e spiegati nei successivi film. Io posso anche dare ragione a queste persone, però, sinceramente, ragionare in vista di spiegazioni successive secondo me è sbagliato. Dovevano fare un film che fosse equilibrato, che lasciasse spazio e dubbi da evolvere nei successivi episodi, ma non così tanti. Soprattutto non sono sicura che riusciranno a giocarsi bene tutte le cose che si sono voluti conservare per il futuro.
Certamente una sceneggiatura scritta così male e con così tanti buchi di trama non me la sarei aspettata per un film che è stato così tanto atteso. Trovo anche offensivo che abbiano trattato lo zoccolo duro dei fans in questo modo, ammiccandoci con robetta come citazioni qui e lì e con promesse ottimamente espresse dai meravigliosi trailer, per poi sperare che noi fossimo come il resto del mondo, ovvero una massa di pecore stregate dal vecchio cast e da trovate che possono far piacere solo alla nuova generazione di filmofili che si lasciano stregare da qualche battutina del cazzo e da scenari degni di nota.
Oltretutto ci hanno dato giù pesante con i cosiddetti "fan services", cioè hanno cercato di ripetere lo schema di "Una Nuova Speranza", ci hanno infilato dentro un botto esorbitante di citazioni, e facendo questo, a mio parere, non hanno fatto altro che appesantire il tutto.
Le citazioni, quelle belle e fatte bene, ci sono anche, come la scelta di quelle strane dissolvenze da una scena e l'altra, la scelta di replicare alcune inquadrature che ammiccassero alla vecchia saga, la scelta di ambientare l'inizio di tutto questo su un pianeta deserto, la scelta di usare un droide che allo stesso tempo è esattamente alla Star Wars e qualcosa di completamente innovativo.
E comunque sì, mi è piaciuto, quando dimentico di cosa si sta parlando.
Spero vada meglio, in futuro e che sappiano giocarsi bene le loro carte per risollevare una situazione che ha creato decisamente molto scompiglio. 

martedì 15 dicembre 2015

Chameleon's Dish - Capitolo XVI

Rosencrantz e Guildenstern




“Perché un Pub?” chiedo a Adriano.
“Perché così ha deciso Luca”
“Cazzo, ma ancora gli date retta?”
“Senti, Al, lo sai come fa Luca: se non si va al Pub quello mette il muso e rompe il cazzo a raggio.”
“Eh, è esattamente questo uno dei motivi per cui mi sono rotto di uscire con voi.”
“Dai, che sono tutti contenti di rivederti!”
Michele mi ha visto arrivare da lontano e mi è quasi saltato addosso gridando “CONAN!”.
L’impatto è stato deleterio per quel menisco che mi fa male da quella volta che cademmo tutti e due dal motorino, quando uno stronzo di tassista ci tagliò la strada a Salita Arenella.
Michele tiene sempre la stessa faccia di cazzo e come al solito non parla mai di cose serie. Dice che si tiene una, adesso, ma secondo lui non è un fatto serio. Io dico che la tipa lo tiene per le palle.
“Le hai mostrato il puparuolo?” gli chiede Adriano, con la sua solita delicatezza.
“Lollissimo!" dice Michele, uccidendomi con il suo orribile intercalare "Ci siamo fittati una stanza in quell’alberghetto…”
“Un albergo a ore?” gli chiedo.
“Sì.”
“Ma che schifo, perdio”. Mi viene da ridere. Michele mi fa la faccia brutta. Dice che ci deve andare per forza, nell’albergo a ore, perché a sua madre non va più a genio che lui le porti squinzie a cazzo a chiavare in casa. E la squinzia a cazzo del momento è appena maggiorenne. Mentre lui ha quasi trent’anni.
“Pure tu con le creature, mo?” Fa Adriano.
“Perché chi?”
“Al!”
È arrivato il momento in cui cominciano a farsi i cazzi miei.
“Wa mostro!” mi dice Michele, e mi tira una pacca sulla spalla. “Come hai fatto? Conan!”
“Niente, ci siamo visti e gliel’ho buttato. Fine.”
“E mica solo una” continua Adriano, che manco chiude il cesso.
“Quante?”
“Una ventina” faccio.
Luca, che è quello che sta sempre incazzato per qualcosa, mi lancia un’occhiataccia.
“Che c’è?” gli chiedo “non ci credi?”
“Sei un pallista”. Il suo tono è piatto e saccente come sempre. Sarà dovuto al fatto che è brutto come la morte e tutte le ragazze che ha avuto erano dei cessi aberranti e pure antipatici.
“Vabè, si sa che Al è andato sempre male in matematica” dice Adriano “Oggi ha scoperto come si scambia il due per il venti”
“E comunque sto messo meglio di voi” aggiungo, per puntualizzare. Ridono tutti tranne Luca.
Arriviamo a un pub di merda di moderna apertura. La specialità messa sul cartellone fuori, su una specie di bacheca, è il panino fatto con il pane nero al carbone, una di quelle cose che mi fa senso solo a vederlo.
“No, ma quello è buono” mi dice Michele “non sa di carbone.”
“Ha un’aria cancerogena” faccio.
"E tu sei un esperto" mi fa Adriano, cogliendo la palla al balzo. Michele non capisce.
"Perchè?" chiede.
"Perchè suo padre è morto di cancro, no?" Interviene Luca aspramente. La situazione si raggela. Mi metto a ridere. La situazione si distende un po'.
Sento Adriano che dice a Michele "un fulmine, tu, eh?"
"Oh, ma che vuoi!"
Luca è convinto di essere un talent scout dei pub. Ogni stracazzo di pub del Vomero lui ci entra, se lo studia e mette una recensione su Trip Advisor. Mi chiedo come sia possibile che uno con così poca intelligenza culturale riesca a scrivere così tante recensioni.
Mi danno il Menu. Mi faccio il conto che il panino che voglio costa sette euro, la birra sei. Siccome gli altri mangiano come la merda e probabilmente vorranno pagare alla romana, già so che dovrò cacciare almeno venti euro. Erano gli ultimi venti che dovevano durarmi fino a fine mese e oggi siamo al quindici. Fanculo i pub.
Luca ordina il suo standard: panino con cotoletta di pollo e patatine fritte, più una porzione di patatine e wurstel. Eccolo qui, il degustatore di frittura standard con le sue recensioni obiettive.
“Ce l’avete la senape?” chiedo.
“No” mi fa la tipa.
“Allora per me un numero 12”
“Sicuro?”
“Sì.”
“Con le cipolle?”
“Sì.” Non riesco a capire perché sta tipa non voglia farmici mettere le cipolle nel mio panino.
“Forse perché ti si vuole ammoccare” dice Adriano.
“Seh, come no.”
Michele dice "Looool!" E a me per l'ennesima volta si torce il fegato.
Luca si prende la birra più di merda che hanno. Io provo la Guinness, che mi arriva annacquata e spillata male. Il panino, poi, sembra cartone e la cipolla è l’unica cosa che ha un sapore.
“Questo pub fa schifo” dico.
“Che?” mi fa Michele. Non riesce a sentirmi perché c’è un casino di pazzi.
“Questo pub fa schifo!” grido. La tipa del tavolo accanto mi guarda male.
“No, a me non dispiace” dice Luca. Per l’ennesima volta ho la conferma che è un coglione che non capisce un cazzo. Le sue patatine sono talmente unte che quando beve la sua birra lascia un alone di olio sul bicchiere.
“Ma con Maria come va?” mi fa Michele. Non rispondo.
“Michele sei il solito culo” dice Adriano. È evidente che mi ha letto nel pensiero, meno male che c’è lui.
“Ah, scusa, vabbé, pensavo volessi parlarne!” dice Michele.
“Non vedo come potrei, sarei costretto a urlare” spiego. Credo che Michele non mi abbia capito, dice solo lol, sommessamente.
Luca passa buona parte del tempo a spiegarmi come sono andati male i suoi ultimi colloqui di lavoro. Un tipo di un’azienda gli ha pisciato in mano perché voleva mandarlo per uno stage all’estero e lui ha rifiutato.
“Ma che cazzo dici?” faccio “Perché hai rifiutato?”
“Eh, maddai, non ho mica bisogno di andare all’estero per fare quello che faccio benissimo anche qui” E lo dice con quella sua maledettissima spocchia. Sento che mi stanno per saltare i nervi. Vedo che anche Adriano è in difficoltà.
“Perché, hai paura che all’estero non ti facciano il panino con la cotoletta?” chiedo, in maniera sarcastica.
“Hai rotto il cazzo” mi risponde Luca. Evidentemente non capisce il sarcasmo. Tanto non lo capisce che tira pure un pugno sul tavolo. Tremano i bicchieri.
“Io?” chiedo.
“Sì, tu”
“Perché?”
“Perché da quando ci siamo visti non hai fatto altro che criticare il pub prima ancora di entrarci.”
“Ma quando mai!”
“Adriano?” 
Adriano, chiamato in causa, è titubante “Beh, un po’ l’hai fatto, però guagliù… cioè…  è normale… non è che devono essere tutti d’accordo…”
“Lui non è mai stato d’accordo su niente!” fa Luca indicandomi.
“Senti, non voglio litigare” gli dico “però che cazzo, Luca, io non ho soldi che mi escono dal culo come te, a me queste cose che mi hanno portato non piacciono, mi da sul cazzo di dover sprecare i miei soldi così. Potevamo farci un fatto tranquillo da Fermo Pizza invece di chiuderci in questo posto di merda dove non si capisce manco un cazzo di quello che diciamo.”
“Ah, certo, mo il problema sono i soldi. Se non hai i soldi per il pub te li do io.”
“Non dire stronzate, è un fatto di principio”
“Mo mi hai fatto il problema dei soldi, se ti servono i soldi me lo dici e pago io!”
“Cazzo, Luca, non sono i soldi il problema!” sento che la mia faccia è diventata bollente “Il fatto è che nessuno questa sera mi ha chiesto se avevo voglia di andare in un cazzo di pub, nessuno di voi si è posto il problema di chiedersi se fossi d’accordo e adesso, cazzo, non posso nemmeno lamentarmi per dire che questo posto fa schifo?”
“Lo vedi come fa?” dice Luca guardando Adriano.
“Ragazzi, su, finiamo di fare casini sulle stronzate, ià, stimo sciolti!” interviene Michele.
“Facciamo così, mettiamo noi i soldi per Al perché ci ha fatto piacere rivederlo dopo tanto tempo, ok?”
“Ma che cazzo dici?” intervengo. “Michè, il problema non sono i soldi, perdio!”
“Ho capito!” dice Michele “Non possiamo semplicemente festeggiare il fatto che sei qui oggi offrendoti la cena?”
“Come al solito siete dei coglioni e non capite un cazzo” rispondo. Ho l’irrefrenabile voglia di spaccare il bicchiere con quel piscio di Guinnes e sfregiare la faccia di tutti.
“Vado a fumare”.

[Continua QUI]

[Riferimenti immagine: l'ho trovata su Pinterest a QUESTO indirizzo, che a sua volta rimanda a QUEST'ALTRO indirizzo.]

mercoledì 9 dicembre 2015

Portugal - Recensione

Ancora una volta mi trovo a recensire un graphic novel. Questo in particolare mi è stato regalato alla cieca al mio compleanno, e devo dire che l'ho trovato veramente bello.
In Italia è edito da Bao, si chiama Portugal e il suo autore è Cyril Pedrosa.
Piccola premessa: questo fumetto non parla di super eroi, non ci sono mazzate alla cieca. È praticamente un romanzo grafico a tutti gli effetti, sensibile, divertente, ma che procede lentamente seguendo un filo logico. È una scrittura piena di sottotesti per cui se siete lettori pigri smammate.

Cyril Pedrosa
Appassionato di disegno e animazione dalla prima adolescenza, si iscrive alla scuola Gobelins di Parigi. Poi a un certo punto comincia a lavorare per gli studi francesi della Disney dove lavorerà nell'animazione di alcuni film, come il Gobbo di Notre Dame e in Hercules. Quindi è bravo (credo che il Gobbo di Notre Dame sia uno dei film Disney che preferisco).
Potete trovare QUI la sua pagina Wikipedia.
A guardarlo in faccia sembra un tipo proprio francese, ma a quanto sembra dal cognome qualche generazione fa doveva essere di qualche provenienza spagnola o, perché no, portoghese.
Io ci ho ravvisato, in tutto il graphic novel, un qualcosa di autobiografico, ma non ho trovato niente che mi confermi questo punto di vista.

Portugal
Tutte le famiglie hanno dei conti in sospeso. Ci sono risentimenti e misteri e una serie di sensazioni che ti restano attaccate addosso e non riesci a togliertele via, generazione dopo generazione, un po' come succede con certi caratteri del viso.


Simon a un certo punto della sua vita va in crisi creativa. È un disegnatore di un certo successo, ha una casa di cui no ha voglia di prendersi cura e ha una ragazza che vuole passare a un livello successivo di relazione. Ma lui ha qualcosa che non va, non si sente completo.
Per un puro caso del destino viene invitato a una specie di fiera del fumetto a Lisbona e qui riscopre in un certo senso quel "qualcosa" della sua terra di origine.

Nasce in qualche modo una specie di curiosità, e comincia a fare domande a suo padre, un uomo in carriera assente con il quale, si capisce, Simon non è mai riuscito ad avere un dialogo profondo.
Il matrimonio di una sua lontana cugina gli permetterà di ritrovare la sua enorme famiglia e di mettere il naso in quei "conti in sospeso". Questo lo spingerà a farsi altre domande che lo porteranno a viaggiare ancora, cercando il paese di origine da cui suo nonno partì molti anni prima per andare in Francia, nella speranza di costruirsi un futuro migliore.
Una volta trovati i suoi cugini portoghesi, Simon cercherà risposte a una serie di domande, ma capirà che non tutte le domande hanno bisogno di avere una risposta definitiva.
Trovare le proprie origini è una cosa importantissima, a mio avviso. Nel fumetto ho ritrovato certe atmosfere e certe sensazioni che una ragazza che vive nel Sud Italia sente già sue. Realtà rurali di una campagna che ora non è più campagna, ma solo provincia, usi, costumi, idee che derivano dai bisnonni, che sai di avere, ma non le riconosci.
Succede a un matrimonio, a Simon, di ritrovare un pezzo della storia dei suoi "antichi", una situazione simile a tante altre riunioni di famiglia, in cui ti ritrovi a ricostruire alberi genealogici e ti chiedi quanti racconti, quante storie, quanti volti ti sei perso per non aver ascoltato, da bambino, tutte le storie che i nonni volevano propinarti per forza, quando avevi in testa tutti quei power rangers da far combattere contro il male.
I disegni sono particolarissimi. Nella quinta di copertina Bao ci infila due righe sull'autore e pare che Cycril sia stato in qualche modo influenzato da Pratt. Si vede, nei disegni, per il colore acquerellato, ma non tanto per la costruzione dei personaggi, una sorta di caricatura arrognata e talvolta anche filiforme, molto caricata. Un tratto decisamente autoriale che rende queste figure tutte simili e allo stesso tempo tutte diverse, tutte con un'aria di famiglia, molto espressive, immerse in atmosfere sognanti in cui la musicalità del portoghese si riversa con baloon dal colore diverso (immagine molto evocativa che rende appieno la freschezza di un idioma vista dal punto di vista di uno che dentro quell'idioma ci trova qualcosa di familiare e misterioso e fantastico).
Bellissimi i dialoghi e la caratterizzazione dei personaggi. Non ci ho trovato niente di forzato. Alcuni personaggi, come il padre di Simon (Jean), parlano poco. Le storie di famiglia sono accennate ma quei brevi accenni ti aprono un mondo di possibilità. È una scrittura molto sottile grazie alla quale ti senti proiettato come ospite, come se tu avessi fisicamente accompagnato Simon nel suo viaggio come un amico che non vuol dire molto di sé, ma che in qualche modo ti lasci capire quali sono tutti i sottotesti che lo circondano.


La storia è articolata in tre atti che gradualmente ti aiutano a sprofondare nella vicenda. Il racconto è diviso in tre generazioni e si parte da Simon, il più giovane. La seconda fase è Jean, il padre, un personaggio aspro da capire ma che in qualche modo fa tenerezza. Ha le sue insicurezze, i suoi difetti incomprensibili, ma ha tanto in comune con il figlio. Leggendo la parte in cui Simon ha intenzione di scoprire questi segreti, ci accorgiamo di quanto padre e figlio siano veramente così simili nel loro modo di affrontare le cose. E poi c'è il terzo atto, quando parla di Abel, il nonno, ormai morto: la persona più difficile a cui fare domande.
Una delle scene in assoluto che ho trovato molto ben fatta (il fumetto è pieno zeppo di scene bellissime, ne dico una su tutte per non rompervi le scatole) è quella in cui si trovano nella stessa macchina Simon, suo padre e i due zii.
L'idea di far trovare delle persone che non vogliono vedersi bloccati sotto la pioggia in una macchina che non riparte è proprio la base dello storytelling: costringere elementi che si contrappongono a stare insieme. La gestione di questa situazione è impeccabile: quando si scrive un fumetto è necessario cercare di variare le inquadrature per far sì che la resa in totale della tavola fili liscia, senza farti storcere il naso con ripetizioni e cose di questo genere. In tal caso la scena dura ben 6 tavole e non c'è niente, assolutamnte NIENTE di sbagliato: Pedrosa sa perfettamente come variare e giocare con le inquadrature, e tutti i personaggi esprimono i loro conflitti e le loro personalità senza tradirsi, rivelando tutte le differenze caratteriali che li hanno portati a mal sopportarsi a vicenda, le tipiche dinamiche familiari che da piccolo ti snervano e da grande ti fanno dare ai matti (la scena di cui parlo la vedete in un assaggio qui a destra).

Note sull'edizione
Il graphic novel è enorme, è pesante, per cui non si può leggere a letto, ma su un divano con gatto sì. Credo sia anche piuttosto costoso (è un regalo, non so il prezzo, cercatevelo su Amazon!), però credo proprio valga la pena di fare questo sforzo.
In realtà questo da Bao è stato fatto rispettando il formato originale francese, 24x32. Trovo che sia una scelta giustissima che non tradisce la disposizione dell tavole e la qualità dei disegni.
Di solito gli italiani traducono qualsiasi cosa. La stessa Bao talvolta si lascia prendere la mano intervenendo direttamente sui disegni pur di rendere comprensibile all'ignorante medio di cosa si sta parlando (mi riferisco a QUESTA scena di Saga, in cui la scritta "Fuck Yeah" nella versione italiana è stata fisicamente presa a pugni e trasformata in "Cazzo sì"). In questo caso ringraziando il cielo si è cercato di non entrare nel testo, traducendo l'idioma portoghese. Anche nella versione francese il portoghese resta e, per quanto qualcuno possa storcere il naso pensando di perdersi qualche passaggio chiave della storia, posso assicurarvi che finisce in secondo piano: Pedrosa è riuscito a rendere comprensibile tutto, sia dal modo di gesticolare dei personaggi, sia nella descrizione del contesto tramite disegni "parlanti" a tutti gli effetti.

A chi lo consiglio
Tutti quelli che amano le vecchie storie di famiglia. È una storia che fa pensare molto ed è come leggere un vero e proprio romanzo, per cui lo consiglio a chi è appassionato di lettura in generale e che ama molto il disegno autoriale.

A chi non lo consiglio
A chi si lascia abbattere dalla grandezza del volume. A chi non ama le storie senza scene di inseguimenti, azione e sparatorie. A chi non ama il disegno autoriale e gli acquerelli.

  

martedì 1 dicembre 2015

I Kill Giants - Recensione

Oggi parliamo di un fumetto strepitoso, scritto da Joe Kelly e disegnato da Jim Ken Niimura.
In Italia è pubblicato da Bao.

La storia è semplicissima: c'è una bambina, Barbara Thorson, che fa la quinta elementare. È strana, le piacciono i giochi di ruolo, si comporta da maschiaccio e soprattutto uccide giganti grazie alla sua super arma segreta che si chiama Coveleski, nascosta in una borsetta a forma di cuore.
Tutta la storia gira sulla forza d'animo e l'arroganza di questa ragazzina che, forte delle sue convinzioni derivanti dalla sua passione per il fantasy e i giochi di ruolo, fa del suo essere diversa da tutte le altre un punto di forza per dimostrare a se stessa e a tutto il resto del mondo che lei è una grande, la migliore.
La maggior parte delle persone non fanno altro che rispondere a questi atteggiamenti con forza e mettendosi "contro", senza porsi domande.
Il vero motivo per cui la bambina si comporta in questo modo è un doloroso segreto.

Joe Kelly
È un autore americano, creatore di una serie animata di successo che si chiama Ben 10. Fa parte anche di un'equipe di creatori della Man Of Action Studios.
È stato autore per la Marvel di Deadpool, X-Men e per la DC ha scritto alcuni numeri di Superman (molto apprezzati) e della Justice League.
Pare che sia bravo, non ho mai letto niente di quello che ha scritto tranne questo fumetto, che mi è piaciuto tantissimo, quindi quando leggo che è bravo io ci credo.
Ha vinto con questa sceneggiatura il Gran Guingi del 2011.
Inoltre questo fumetto ha vinto  il "Best Indy Book" dell'IGN nel 2008 ed è stato inserito tra i migliori dieci fumetti del 2009 dalla rivista New York.

Jim Ken Niimura
Quest'uomo ha un blog, lo trovate QUI.
Pare che sia un giapponese spagnolo che vive a Tokio.
Secondo quanto scritto dalla Bao nella quinta di copertina, questo tipo si è laureato in arte, ha fatto soprattutto campagne pubblicitarie per realtà spagnole e nel fumetto si è cimentato soprattutto in web serie e storie brevi. I Kill Giants rappresenta la sua prima storia lunga e io dico che si è comportato egregiamente.



I Kill Giants
Barbara è l'unica persona che può salvare il mondo dall'imminente arrivo del Gigante più potente e distruttivo dell'universo. Che non è un gigante, ma un Titano.
La sua spiccata fantasia, in realtà, cerca di dissimulare la vera tragedia che sta vivendo a casa.
Barbara infatti è terrorizzata dal dover salire il primo piano di casa, e preferisce dormire nel sotto scala, che è diventato il suo rifugio segreto.
Vorrei farvi notare una cosa: nella produzione delle storie americane (o inglesi), di solito la cantina o il sotto scala sono viste come luoghi per eccellenza in cui i bambini non vogliono entrare. Ma Barbara non è una bambina come le altre. C'è qualcosa di molto più spaventoso di un mostro della cantina, che si trova al primo piano della sua casa. Ed è questo mostro che la piccola non riesce ad affrontare.
Con una narrazione molto sensibile, questi due autori ci proiettano in una storia allo stesso tempo divertente e malinconica, che mette il punto su alcuni comportamenti strani dei bambini, facendo gioco su un'enorme e moderna metafora che cerca di spiegarci come un bambino può vivere in maniera fantastica le difficoltà della sua esistenza.
Assistiamo, in questo fumetto, ad un ennesimo spostamento di focus che ravviso nella produzione di storie degli ultimi anni: Barbara è una bambina moderna sotto tutti gli aspetti, in quanto bambina ha i capelli lunghi, ha delle fatine che la inseguono e con cui gioca, ma allo stesso tempo è un maschiaccio che non riesce a legare con le vanitose compagne di classe, convinta che esistono cose più importanti a cui un eroe deve pensare. È pestifera, è arrogante, è violenta. È esattamente una bambina con la quale ci si riesce ad immedesimare proprio perché si comporta esattamente come farebbe una ragazzina di oggi, di quelle a cui piacciono le principesse, ma si immedesimano più volentieri nell'ammazza demoni, perché evidentemente il classico modello della donna "carina" non è più sufficiente a soddisfare l'immagine che abbiamo di noi stesse.


Tutti i personaggi che le sono di contorno, reagiscono in qualche modo a questi comportameti anti sociali. Le istituzioni non riescono a gestirla, ed è perseguitata dall'immancabile Bulla, che mal sopporta di trovarsi davanti una ragazzina che non soccombe alle minacce. Lo spirito ribelle di Barbara, infatti, viene fuori al massimo livello nel momento in cui si trova davanti ad un'autorità, che sia questa un'autorità ufficiale (come la maestra o il preside) o un'autorità riconosciuta solo dalla massa (ovvero il Bullo di turno).
Le uniche persone che cercheranno di aiutare Barbara a sconfiggere il suo gigante sono la psicologa (che è l'unico elemento istituzionale che si pone il problema di entrare in relazione con lei) e una ragazzina nuova, abbastanza intelligente da notare qualcosa di particolare in Barbara.
Sottolineo che tutta la storia vive su un filo rosso che separa la realtà vera da quella che vive nell'immaginario della bambina. Quando leggi questo fumetto sai perfettamente che Barbara si sta preparando ad affrontare una battaglia che in realtà vive solo nella sua fantasia, ma man mano che si va avanti nella storia, questa netta separazione tra reale e fantastico non è più una certezza, fino ad arrivare al cosiddetto "punto centrale" in cui tutte le certezze che hai accumulato nella lettura delle pagine precedenti crolla, e ti fa entrare veramente in crisi, per poi farti scegliere da solo quale sia la conclusione che ti soddisfa maggiormente: Barbara è veramente una creatura a cavallo tra due mondi, oppure no? Qual'è l'idea a cui vuoi credere maggiormente?
Dietro l'edizione Bao, dove c'è scritta la trama, per descrivere Barbara dicono"una bambina straordinariamente fragile e caparbia". Sarà che io mi sono immedesimata tantissimo in Barbara e quindi mal sopporto che in qualche maniera, indirettamente, mi si dia della "fragile", vorrei dire che non sono d'accordo con questa descrizione. Esiste una differenza tra "avere paura" ed "essere fragile". Anche le persone forti hanno paura, e Barbara è tutto meno che fragile.
L'idea è questa: la reazione di Barbara alla paura la rende molto forte. Questo perché le persone fragili reagiscono alla paura con abbandono. Le persone forti reagiscono alla paura con rabbia, con la volontà di fare qualcosa. Quindi, deduco, Barbara non è affatto fragile, è solo incazzata nera, sa che deve affrontare una battaglia ed è convinta di doverla affrontare da sola.
E infatti, se leggete il fumetto, capirete che alla fine è da sola che riesce ad affrontare la sua battaglia, e tutte le persone che l'aiutano non l'aiutano materialmente nella battaglia, ma semplicemente iniziano a credere che lei realmente possa uccidere i giganti, da sola.
È una storia di crescita, e la vera crescita sta nel riconoscere che ci sono battaglie che non possono essere vinte, ma non per questo si è meno forti.


I Disegni
Hanno un aspetto caricaturale, molto jappo style, però si sposano perfettamente con la storia, oltretutto ambientata in paesaggi e costruzioni tipicamente americane che creano un bel contrasto. È tutto giocato su scale di grigi, le caratterizzazioni dei personaggi sono ben studiate non solo nella stesura della storia, ma anche nella grafica. Ci sono alcune tavole molto molto belle, studiate ed utilizzate proprio nei momenti più drammatici ed espressivi. Si rinforzano gli scuri e i neri nei momenti di più forte impatto emotivo, tutto letto sempre secondo il punto di vista della bambina, che trasforma la realtà nel momento in cui non la comprende, o nel momento in cui cerca di comprenderla a suo modo.
Una cosa che non mi è piaciuta (che non dipende dall'edizione Bao perchè la vedo anche nelle tavole americane), sono i baloon: non sono perfettamente leggibili, la stanghetta che conduce la nuvola al personaggio che parla non è chiara, talvolta si confonde con il disegno, e questo è fastidioso, mi ha costretta a rileggere alcune parti perché non avevo capito chi fosse a parlare.


Conclusioni
Dovete leggere assolutamente questo graphic novel. Che voi siate dei vecchi bavosi maschi che non riescono a concepire l'esistenza di bambine maschiacce forti, o che siate dei ragazzini emotivi tutti acne e youporn, se avete una coscienza, questo fumetto la troverà, la pesterà e vi farà piangere fortissimo.
Si tratta di una storia eterna, fantastica e reale al tempo stesso, che saprà ricordarvi cosa significa per voi, adulti, essere diventati grandi e cosa significava, quando eravate piccoli, affrontare quelle grandi cose orribili che vi ha portato la vita. Tutti noi in qualche modo siamo stati e siamo ancora Barbara Thorson, siamo tutti dei Barbari figli di Thor, quando ci incazziamo perché la vita ci vuole costringere a fare i conti con tutto l'orrore dell'universo. La vita ci rende deboli, ci costringe ad affrontare i nostri titani. E tutti, come Barbara, dovremmo farlo con coraggio accettando i nostri limiti e scoprendo quanto è meravigliosa la nostra umanità.

A chi lo consiglio
Tutti indistintamente, di qualsiasi etnia, religione, peso specifico, sesso, età e pettinatura siate.

martedì 17 novembre 2015

In questo post parlo di Parigi a modo mio e non ho trovato un titolo adatto.



Oggi è martedì. Di solito il lunedì apro il blog e cerco di capire come pubblicare e cosa per crescere. Io voglio fare la scrittrice e ho creato questo blog per avere visibilità, per farmi notare per come scrivo. Quando ieri ho aperto questo blog mi sono detta: dopo quello che è successo venerdì che cazzo posso scrivere? Posso mai continuare a scrivere il mio romanzo facendo finta di niente? Posso scrivere la recensione di uno stupido fumetto?
Non me la sento.
Avevo la necessità di scrivere qualcosa su Parigi. Inizialmente pensavo di restare zitta e sospendere qualsiasi giudizio su quello che mi stava succedendo attorno. Ma poi non ce l'ho fatta. Dopo un fatto del genere credo di non poter far finta di niente. Sentivo la necessità di lasciare una traccia in questo blog. Prima di Parigi c'era un mondo, dopo Parigi ce n'è un altro. Devo registrare questo cambiamento in qualche modo, per mia personalissima necessità. Questi sono commenti a caldo da parte di una che sta vivendo questa cosa come ha vissuto la morte di un parente. Lo state facendo tutti, solo che magari non ve ne siete accorti.
Leggo sui social di gente che parla di terza guerra mondiale, di bombardamenti e subito sotto c'è un articolo del mattino che dice che a S. Gregorio Armeno sta arrivando il Natale.
È come trovarsi davanti lo scemo del villaggio che sotto i bombardamenti cerca di salvare la coperta che gli mettevano nella culla quando era piccolo.

Io non vi conosco e non so se avete mai perso qualcuno, se siete mai stati a un funerale.
Quando ti muore qualcuno due sono le cose: o ti da fastidio tutto quello che gli altri fanno per dimostrarti il proprio cordoglio, oppure apprezzi tutto, perché capisci che la gente davanti a dei traumi non sa bene come comportarsi, e fa semplicemente quello che può.
Quando è morta una persona a me cara un sacco di gente con la quale a stento mi salutavo, mi si è fiondata addosso ad abbracciarmi. Io odio gli abbracci e odio le persone. Loro erano convinti che io avessi bisogno di essere abbracciata, cosa per nulla vera (almeno non da loro). Non mi misi a fare questioni, nonostante tutto, perché pensai che semplicemente non mi conoscevano, non avevano idea di quali fossero i miei bisogni, e forse semplicemente erano loro ad aver bisogno di dimostrarmi il loro affetto in un modo plateale, goffo, tipico di chi è in perfetto imbarazzo.
La gestione delle proprie emozioni è un fatto complicato.
Io davanti alla morte reagisco più o meno sempre allo stesso modo: non parlo.
Mi hanno detto di quello che stava succedendo a Parigi con un messaggio privato su Facebook e in un primo istante non ci ho creduto.
Sono corsa a controllare e non ho avuto il coraggio di smettere di fare quello che stavo facendo (mangiare un panino con gli amici) perché continuavo a non capire che era una cosa vera.
Quella sera siamo stati in 3 locali. Di questi solo il primo aveva messo un notiziario, a bassissimo volume, e la gente rideva e scherzava come se il fatto non fosse il loro. Gli altri due locali non avevano messo nessun notiziario, non avevano cambiato musica, ma sapevano perfettamente cosa stava succedendo.
Mi sono detta: se il mondo non si è fermato per questo non sarà poi così grave.
Quando sono tornata a casa sentivo la stessa atmosfera grave di quando hai il morto in casa. Io e i miei non abbiamo chiuso occhio. E poi il giorno dopo si sono aperte le cataratte dei social, dei giornali, e le polemiche e tutto il resto.
Mi sono detta: stai zitta, Chiara. Chi cazzo sei tu per dire qualcosa?
La gente ha cominciato a comportarsi così come si comporta sempre quando succedono i lutti. Fanno piazzate, dicono la loro, esprimono giudizi non richiesti, fanno a gara con chi soffre di più.
E le polemiche. Un sacco di polemiche, che vi riassumerò brevemente così:

- Quelli che biasimano la gente che scrive qualcosa su Parigi, senza rendersi conto di stare facendo lo stesso.

- Quelli che biasimano quelli che biasimano la gente che scrive su Parigi, facendogli notare che stanno facendo lo stesso.

- Quelli che hanno deciso che il giorno dopo già ci si può scherzare sopra e fanno figure di merda.

- Quelli indignati perché nessuno pensa che nel mondo ci sono altri attentati e dicono "perché nessuno ne parla, eh? EH?".

- Quelli che mettono immagini della bandiera della Francia e della Tour Eiffelle e viene biasimata da gente che non lo fa.

- Quelli che vogliono fare la guerra a "ISIS" convinti che questo significa andare a bombardare un paese arabo a caso.

- Quelli che hanno deciso che basta che sei immigrato e automaticamente sei terrorista, anche se sei un russo ortodosso e aiuti le vecchiette ad attraversare la strada.

- Quelli che vogliono pregare per le vittime di Parigi.

- Quelli che biasimano la gente che prega per le vittime di Parigi dicendo che è tutta colpa delle religioni e quindi basta preghiere, non diciamo stronzate.

- Quelli che dicono che siccome siamo laici basterebbe sostituire alla parola "preghiera" la parola "pensiero" così siamo tutti più politically correct.

- Quelli che dicono che sono tutti coglioni quelli che pensano che quello che è successo sia un fatto di religione: è solo politica, fratello. Solo fottuta politica. Amen.

- Quelli che ne approfittano per avere visibilità facendo notare quanto sono rimasti traumatizzati da quello che sta succedendo sputanto hashtag a destra e a manca, giusto per dire "ci sono anche io, vi prego, notatemi".

Io sono una persona estremamente cinica, e come tale mal sopporto tutto questo. Ho cominciato ad avere nausea e una sensazione di insofferenza verso tutto ciò che passava in TV e sui social. Però a un certo punto mi sono fermata e ho detto: cazzo, mi sento proprio come quando mi è morta quella persona cara.
Quello che stiamo facendo tutti noi è metabolizzare un lutto. Quello che è successo a Parigi resta e resterà per sempre un fatto epocale. Quello che succederà da domani non sarà più uguale al domani che ci saremmo aspettati. Questa è una di quelle cose che ti condiziona l'esistenza. è cambiato tutto, è un dato di fatto. Siamo tutti scioccati da quello che è successo, anche quelli che fanno finta di non esserlo e mantengono la loro maschera di cinismo. Siamo tutti scioccati e condizionati.
Per cui mi sono detta: ma io chi sono per biasimare la gente che vuole mettere la bandiera della Francia come immagine profilo su un social? Io non lo farei mai, ma se quella persona sente il bisogno di farlo... beh, non sta ammazzando nessuno.
La gente sente il bisogno di pregare. Non so se ve ne siete accorti, ma esiste ancora chi crede in Dio, e queste persone vogliono pregare per quello che sta succedendo. Tra quelle vittime ci sarà stato almeno un credente che immagino avrebbe apprezzato una preghiera per la sua anima. E allora, se sentite il bisogno di pregare, pregate, cazzo! E la gente che non prega ha tutto il diritto di pensare "che coglioni, questi parlando ancora di religioni", ma non hanno il diritto di imporre la loro visione a tutti gli altri. Non c'è bisogno di essere politically correct sulle preghiere della gente dopo un fatto epocale di questa maniera.
E vi dico anche un'altra cosa: quando si studierà storia si ricorderanno tutti di quello che è successo a Parigi e dimenticheranno per buona parte quello che è successo in giro per il mondo con gli altri attentati e le altre morti, perché così funziona. Questo è un dato di fatto: il mondo fa schifo. Tutte le vittime sono vittime, hanno sofferto, sono morte, hanno la stessa dignità, ma quelle di Parigi hanno un significato particolare proprio perché sono morte a Parigi e in quel modo. Fa schifo, lo so, è una cosa cinica, lo so, ma è un dato di fatto.
Quando studiamo il Sacco di Roma sui libri di storia, lo studiamo come un fatto epocale. Ricorderemo sempre che il Sacco di Roma è avvenuto in un contesto di guerre per il predominio in Europa di una serie di fazioni, ma lo ricorderemo sempre e comunque come il culmine, come il fatto più significativo.
Quello che è successo a Parigi è come il sacco di Roma. Non sarà mai la stessa cosa per noi quello che succede in Siria, a Beirut o in Kenya. Parigi significa qualcosa, storicamente. è un simbolo. Parigi, la Francia in generale, hanno visto nascere il nostro pensiero moderno, la filosofia che ci ha portati ad essere quello che siamo, alle rivoluzioni per la nostra libertà, alla carta dei diritti, all'abolizione della schiavitù... tutto è in qualche modo collegato a Parigi. Colpire Parigi significa colpire il simbolo di quell'Occidente che siamo diventati oggi. Significa colpire la nostra storia e in qualche modo appropiarsene e trasformarla.
Per questo, dico, che ci comportiamo come se ci fosse morto un parente. Parigi è un parente caro. Siria, Beirut e Kenya sono conoscenti. Ci possiamo stare male, ma non sarà mai la stessa cosa. Se il giorno che vi ammazzano il padre ammazzano pure il collega di vostro padre, voi pensate al collega (che magari vi faceva anche i regali a Natale o vi cambiava il pannolino da bambini) o pensate a vostro padre?

Quello che sta succedendo con l'Isis è un lavoro sociologico, antropologico, psicologico. Quelli che guidano l'Isis sono persone abbastanza colte da sapere cosa fa male all'uomo medio Europeo e occidentale, perché ci conoscono. Fanno tutto quello che potrebbe fare un cattivo dei fumetti per dimostrare di essere veramente un super cattivo. È un'orchestrazione cinematografica eccellente, una costruzione pianificata portata avanti da gente che ha la freddezza criminale di chi sa esattamente quali tasti toccare per far scatenare una paura irrazionale nella gente.
Dicono che non bisogna avere paura per non dargliela vinta. Io ho una paura fottuta, cazzo, questo ha cambiato il mio universo. Ma questo non mi farà smettere di pensare quello che penso e non mi convincerà mai a gridare di uccidere la bestia, non mi convincerà mai, quello che è successo, che sia giusto cominciare una caccia alle streghe.
Noi abbiamo avuto la fortuna di essere nati in Europa. Non lo abbiamo scelto noi, di nascere qui. Non abbiamo scelto noi di nascere in questo mondo e in questo periodo storico. Non è colpa nostra. Ma possiamo scegliere di restare calmi, freddi; possiamo scegliere di aprire gli occhi e pensare che tutto questo è fatto apposta per creare preconcetto, odio, violenza, sconfitta. Ricordiamo sempre che di mezzo ci finiscono quelli che non c'entrano un cazzo e che non dobbiamo prendercela con il primo che passa, che sia un nostro contatto su un social che non ha capito niente, o che sia un musulmano che incontriamo per strada. Approfittiamo di quello che è successo per usare tutte le armi in nostro possesso per restare liberi nell'unico modo in cui si può essere liberi: intellettualmente. Apriamo libri di storia, vediamo approfondimenti. Documentiamoci per capire cosa sta succedendo per cercare di farci un'opinione personale, senza lasciarci condizionare dalla nostra paura e senza diventare dei complottisti del cazzo.
Nel mondo le guerre ci sono sempre state. C'è stata sempre violenza, dolore, morte, distruzione, carestie. Abbiamo più paura di tutto questo perché siamo ancora traumatizzati dalla seconda guerra mondiale. Abbiamo avuto la fortuna di non aver mai visto una guerra in faccia. La conosciamo per sentito dire (almeno quelli della mia generazione). Ma non siamo nati in un mondo in cui non possiamo fare altro che imbracciare il fucile e andare al fronte. Siamo nel mondo in cui l'informazione è a portata di mano. Sono tempi in cui la libertà intellettuale può esistere, ma dobbiamo costruircela noi, esercitando il nostro senso critico e non cedendo all'idea che soltanto tramite l'aggressione incondizionata del "diverso" possiamo mantenere la nostra personale sicurezza.

Ps: la foto che ho scelto di usare per questo post l'ho rubata a una mia amica che vive a Parigi, per la quale sono stata molto in pensiero fino a quando non ho ricevuto la conferma che stava bene.
Il post con il quale presentava la foto è questo, ed è con questo pensiero che voglio lasciarvi:




martedì 10 novembre 2015

La Guardia dei Topi, Autunno 1152 [Recensione]

La Guadia dei Topi è una saga di David Petersen, edito in Italia da Panini, nella collana 9L.
Il nome della collana si legge "NOVELLE". Un sagacissimo gioco di parole. Già.
Parliamo di storie di animali. Avete presente le favole di Esopo e tutti gli altri grandi classici della letteratura infantile, nei quali i protagonisti delle storie sono degli animali umanizzati?
Ecco, siamo su quel filone lì. Ma andiamo con ordine.

David Petersen
Un autore americano la cui biografia potrete comodamente trovare qui.
Da quello che ho capito, Petersen è famoso proprio per la creazione di questo ciclo di favole grafiche ambientate nel mondo dei topi e che si chiamano, appunto "La Guardia dei Topi".
Pare che tutto il ciclo finora pubblicato abbia riscontrato un certo successo.
Da quello che si evince anche da quanto scritto stesso dall'autore nell'introduzione al primo volume, si tratta di una specie di idea che gli è cresciuta nella testa e ha cominciato a prendere vita pian piano.
Quello che possiamo effettivamente dire, è che questo autore ha creato un vero e proprio mondo, con le sue regole e la sua società, le sue caratteristiche, e questo è un elemento tipico degli scrittori del fantasy classico e della fantascienza. e per questo motivo dobbiamo inchinarci di fronte almeno alla sua capacità di immedesimazione e creazione di un mondo fantastico.
La caratteristica di questo universo è che non si tratta di un fantasy semplice, pieno di magia e roba del genere. Potremmo definirlo forse un fantasy per l'ambientazione favolistica, per i protagonisti che sono tutti topi, per l'epicità insita nei temi trattati, ma è un fantasy cosiddetto low-magic. Non ci sono (per ora) magie e strani mostri. Tutte le difficoltà che i nostri topini arrivano ad affrontare, sono difficoltà dovute alle avversità della natura (e si sa che i topi sono delle ottime "prede"), che i nostri eroi affronteranno con le loro semplici abilità, senza dover ricorrere ad artefatti magici.

Autunno 1152
Credo sia un capitolo piuttosto introduttivo, volto principalmente a presentarci i personaggi che dovremmo seguire nei prossimi capitoli, ovvero Saxon, Kenzie e Rand.
In un mondo in cui i topi, prede per eccellenza, sono costretti ad organizzarsi in piccole e chiuse comunità protetti dalle avversità del mondo esterno, i membri della guardia sono l'unica via di comunicazione e protezione verso l'esterno. Un po' moschettieri e un po' cavalieri, i topi della guardia hanno giurato di proteggere i loro simili.
Ma quella che sembra essere la città più importante, dall'emblematico nome di Tanasicura, è minacciata da un nemico che non viene dall'esterno, bensì dall'interno: un gruppo di traditori decisi a rovesciare il governo.
L'andamento della storia è narrato per capitoli, potremmo dire sei atti,ben suddivisi.
La costruzione narrativa della storia funziona bene, è lineare, ma non sono molto chiari i colpi di scena e l'effettivo ruolo dei vari personaggi. In effetti le differenze caratteriali, gli approfondimenti psicologici, sono appena accennati. Talvolta ho avuto dei problemi a seguire la trama, poiché l'autore è come se partisse dal presupposto che tu conosca gli effettivi attori della vicenda, che tu li abbia interiorizzati, e presume che tu abbia delle reazioni anche forti a quelli che sono i colpi di scena della storia.
Ci troviamo davanti caratteristici personaggi eroici pronti a sacrificare la propria vita per salvare il mondo, insieme a misteriosi eroi del passato dalla potente e leggendaria arma, creduti dimenticati, ma che ripoppano improvvisamente per combattere contro il comune nemico.
Devo dire che la storia è costruita in modo da farti vivere le preoccupazioni di questi topi che si affannano per sventare il colpo di stato. L'autore di questo colpo di stato, però, non l'hai visto manco mezza volta prima che ne venga svelata la reale identità. Questo significa che a me passa per il cazzo che quello sia il cattivo, non mi hai dato alcun colpo di scena, perché dentro di me non c'è alcuna sorpresa per aver scoperto che il cattivo è un topo di Tanasicura.

Personaggi
Gli stessi tre protagonisti, che dovrebbero avere un carattere ben definito, sono delle figurine bidimensionali appena accennate. Non hanno un modo di comportarsi ben pianificato, non hanno rivalità, punti deboli, caratteristiche comportamentali che possano renderli dei personaggi vivi e veri.
Nonostante questo, si potrebbe abbozzare un piccolo schema identificativo:

















Kenzie
è il topo grigio con il mantello viola (anche se in questa immagine sembra blu) e il bastone. Sembra un po' il Gandalf della situazione, penso sia il membro anziano del piccolo drappello e a quanto pare è una specie di leader.

Saxon
Si capisce vagamente da due battute alla fine del libro che ha qualche problema a riconoscere l'autorità di Kenzie, come se tra i due ci fosse una sana rivalità.
Forse è quello un po' più truce. Lo si capisce più dai disegni che dai dialoghi.
È il topo marrone con il mantello rosso.

Lieam
Topo rosso con mantello verde. Sempre alla fine di tutta l'avventura si capisce che è un giovanissimo membro della guardia che si dimostra essere molto promettente.

Tutto quanto detto sopra, ribadisco, si capisce pochissimo e durante la lettura del fumetto ho avuto qualche difficoltà a barcamenarmi tra topi dai colori di pelo e mantello simili e dialoghi piatti, completamente privi di una capacità di far evincere una caratterizzazione profonda.
Spero vivamente che si corregga il tiro nei futuri libri.

I Disegni
Il formato "quadrato" del libro è molto particolare e permette all'autore di giocare al massimo con la libertà delle tavole, che sono ben strutturate e molto evocative, sia per il soggetto, molto particolare, e le ambientazioni, sia perché l'autore gestisce molto bene le "inquadrature" in maniera fresca e basandosi più sugli effetti di enfasi che vuole creare, piuttosto che alle solite regole che sottostanno alla programmazione delle tavole.
Per fare un esempio: si prende la libertà di utilizzare metà pagina per un semplice primo piano, facendo in modo che il lettore metabolizzi quel primo piano come un attimo di profondo sconcerto del soggetto ritratto in una situazione difficile e tesa.
I toni dei colori sono belli e autunnali, i topi non sono alla Walt Disney, ma sono degli esserini tenerissimi ma capaci di grandi cose.

In Conclusione
Ragazzi, non è un capolavoro né come fantasy né come caposaldo della letteratura per ragazzi, ma è molto particolare e promette bene.
L'idea di utilizzare degli esserini minuscoli in un mondo di avversità è un buono spunto di riflessione, metaforico anche per la nostra stessa esistenza. E, in qualche modo, l'idea di un mondo frammentario e in gravi difficoltà di comunicazione tra una cittadella fortificata e l'altra, e lo stato di continua emergenza contro bestie feroci enormi (un serpente da affrontare può essere a tutti gli effetti paragonato ad un combattimento contro un drago), e contro agenti atmosferici imprevisti (una pioggia torrenziale è un vero e proprio cataclisma), bene si sposano con un'ambientazione medievale (sempre perché nel nostro immaginario il Medioevo appare come un periodo storico particolarmente buio e tetro, pieno di misteri e pericoloso per l'uomo comune).
Attendiamo con ansia nuovi numeri, in modo che si possa approfondire il discorso sulle caratteristiche dei personaggi male espresse in questo primo numero, e in modo da poter sviluppare meglio la storia e l'ambientazione che, in potenza, meritano attenzione.

A chi lo consiglio
Agli affezionati delle storie epiche e fantasy; a chi si è innamorato del signore degli anelli e vuole ricordare non la storia, ma certe atmosfere; a chi piace la letteratura per ragazzi non molto impegnata.

A chi non lo consiglio
A chi ha qualche problema coi topi; a chi non piace il fantasy e le storie epiche; a chi non riesce a immedesimarsi in un topo.

PS: da quello che vedo il successo della serie a fumetti ha fatto nascere anche un gioco di ruolo. A breve magari vi parlerò anche di questo!


martedì 3 novembre 2015

[Tony Sandoval] Nocturno - Recensione

Oggi recensisco un graphic novel di Tony Sandoval edito da Tunuè che si chiama Nocturno.



Complessità di situazioni e maturazione interiore in una storia sensibilissima che indaga la crescita personale di un singolo individuo interpretandola come una storia epica, fortemente radicata nella cultura fantasy, ma dai risvolti più contemporanei.
Come descrivere questo gaphic novel?
Sembra un piccolo grande sogno, e dico sogno perché la dimensione onirica di ambientazioni e personaggi fanno pensare ad una storia eterna e indefinita, che si radica quasi in una concezione mitologica e ciclica dell'esistenza. 
Tony Sandoval, grazie al suo magico e caratteristico tratto, riesce sempre a stupirci unendo a storie sensibilissime una grande attualità, oltre all'amore per la musica metal, che viene fuori anche in altri suoi lavori (come il nuovissimo Doom Boy, su cui magari mi soffermerò tra qualche tempo) e che evidentemente per lui rappresenta una fonte di ispirazione.


Tony Sandoval
Il suo tratto sottile ed elegante, le sue splendide e graziose bamboline, sembrano stridere violentemente quando ci si trova davanti la persona fisica di Tony, che è un simpatico omaccione messicano dal forte senso dell'umorismo, nonché incontenibile bevitore di birra.
Ho avuto il piacere di conoscerlo e di comprare praticamente tutto quello che ha pubblicato in occasione del Comicon di Napoli 2015. Lì ho approfittato per osservarlo disegnare, e sono rimasta rapita dalla facilità con cui riesce a tirar fuori dal nulla delicatissime principesse e fatine ad acquerelli e un tratto di penna nera. 
Sono rimasta affascinata da lui, anche per la sua disponibilità, e la passione instancabile per il disegno.
Le sue storie sono quasi tutte storie di crescita, per un pubblico adolescente e non solo. 
Vi consiglio caldamente di leggere tutto quello che ha scritto, soprattutto Watersnakes (di cui spero di poter parlare in futuro) che a mio avviso resta un capolavoro insuperato.
La fotografia di Sandoval l'ho presa dalla sua pagina di Deviantart, che potete trovare qui
Inoltre ha anche un profilo Facebook molto attivo nel quale posta quasi giornalmente immagini dei suoi ultimi schizzi.

Nocturno 
Il Graphic Novel nasce come una leggenda persa nel tempo e nello spazio. Un essere indefinito, con una maschera, si aggira in un bosco e parla con una donna, uno spirito del vento. Questo scenario perfetto, così come le mille e una notte, sono il preambolo di una storia nella storia: si racconta la vicenda personale di Seck, un giovane ragazzo vessato dalla famiglia, che decide di scappare da una casa che gli sta stretta e nella quale si sente un ospite indesiderato. 
Seck non è un ragazzo come tutti gli altri: la morte del padre lo ha segnato tanto da accompagnarlo fisicamente come una presenza costante, simboleggiata dal nostro autore con la rappresentazione fisica (immaginata dal protagonista) del padre morto, sotto forma di scheletro, che comunica al figlio oscuri presagi e lo avverte, quasi fosse una coscienza, degli eventuali pericoli nei quali sta per imbattersi.
Dopo essere scappato di casa ed aver ritrovato un suo amico di infanzia con cui cerca di vincere un concorso metal, conosce una ragazza, Karen, di cui si innamora profondamente, la quale ricambia il suo affetto.
Le difficoltà però non vogliono abbandonare il nostro protagonista, il quale vedrà sconvolta la sua vita ancora una volta da un evento tragico che lo porterà a decidere di fuggire e di coprirsi il volto con una maschera che, depersonalizzandolo, in qualche modo lo rende un personaggio mitico, un giustiziere misterioso.
Ma non finisce qui, perché la storia di Seck continua a sprofondare sempre più, fino a diventare una sorta di sogno dal quale lo stesso protagonista non riesce a scappare, perdendo la propria identità reale e fondendosi sempre di più in una identità astratta ed eterna.
Sarà lo stesso spirito del vento "che imprigiona gli uomini e li fa smarrire" a tradire la definizione data a sé stessa, aiutando il protagonista a ritrovarsi e a riprendere il corso della propria vita, finalmente superando il lutto del padre.
E' una storia a lieto fine, ma, forse per non tradire la propria nota onirica, non è particolarmente chiara. Se ci si aspetta di trovare una linea narrativa logica e perfettamente comprensibile, stiamo sbagliando opera.
Devo dire che ci sono dei punti della trama che non condivido razionalmente, ma che immagino che ai fini della magia della resa totale siano interessanti: l'idea di un ragazzo mingherlino che indossa una maschera grazie alla quale riesce a fare fuori squadroni di stronzi che vogliono ucciderlo, è poco verosimile. Ma, ciononostante, per l'economia della storia, direi che possa funzionare come una specie di cambiamento simbolico del ragazzo che, indossando la maschera, rinuncia alla propria identità, si priva della propria umanità, diventando una sorta di leggenda.

La tenerissima storia d'amore tra lui e Karen è veramente ben descritta, senza azioni mielose e sdolcinate da far venire voglia di vomitare. Si tratta di una storia d'amore che non ha bisogno di troppe parole, aiutandosi con la forza delle immagini che Sandoval, su questo argomento, ha sperimentato e tuttora sperimenta in una poesia visiva veramente molto efficace ed emozionante.




Una cosa che mi ha affascinato moltissimo è la sensibilità con cui Sandoval riesce a descrivere gli stati d'animo dei personaggi, anche per quanto riguarda la musica. 
Il metal è percepito da sempre come una sorta di accozzaglia indefinita di suoni ruggenti e che non si sposano particolarmente con la delicatezza di stati d'animo dovuti all'ascolto, per esempio, della musica classica. Eppure in questa storia Karen si commuove ad un concerto metal come se si trovasse investita da una sinfonia di Beethoven. Per quanto io non sia un'estimatrice di quel genere musicale, credo che Sandoval sia riuscito, come sempre, a descrivere uno stato d'animo con le immagini in una maniera impeccabile e commovente, e ve lo mostro con queste immagini che ho scelto per questa recensione, tutte trovate in giro per la rete. 

A chi lo consiglio: a tutti quelli che amano le storie oniriche e fantastiche, a chi ama il metal, a chi ama Sandoval e le storie di crescita, a chi vuole sorprendersi con una storia d'amore per niente didascalica e scontata.

A chi non lo consiglio: alla gente razionale che non riesce a trovare il bello nei disegni così particolari di Sandoval. 

martedì 27 ottobre 2015

Chameleon's Dish - Capitolo XV

Violenza













Adriano ride.
Gli chiedo gentilmente di smetterla.
Lui non solo non smette ma credo stia andando in ipoventilazione.
Piange dalle risate.
È tipo accasciato sul divanoletto e viene scosso da pesanti singhiozzi. Forse l’ho ucciso.
“Smettila.” Gli dico piattamente.
Lui si asciuga la faccia sulla maglietta e si alza.
“Va bene, va bene… fammi vedere”.
Mi tolgo la maglietta. Gli faccio vedere la schiena.
“Ma che cazzo era, una tigre?”
“Eh, ti ho detto. Meno male che ci è andata giù pesante proprio quando stavo per venire. Sai che figura di merda sennò…”
Adriano ride di nuovo "sei un disperato".
 Me ne vado in bagno. Metto un po’ d’acqua fredda sui graffi che tengo sul petto.
 “E dopo averti scorticato la schiena che ha fatto?” mi chiede Adriano, seguendomi in bagno.
Sono davanti allo specchio. Sulla mia spalla spicca un livido verde-viola con la forma della bocca di Lucia.
“Mi ha chiesto di picchiarla.”
“E tu?”
“E io non volevo farlo.”
“E lei?”
“Mi ha preso a morsi e a calci”.
Mi esamino il labbro inferiore gonfio, con l’impronta dei denti di Lucia.
“Cazzo, Al, ma veramente stava male con la testa questa… meno male che ha chiamato te.”
“Eh.”
 “E comunque” riprende Adriano “Tu sei un coglione. Vai lì senza preservativi, fai sesso non protetto. Poteva restare incinta, sta tipa”.
“Sì. Sono un coglione. Fai che devo farmi il test HIV?”
 “Ma che ne so…”
“Sì, devo farmelo.”
Odio guardarmi allo specchio. Ho sempre la sensazione di non essere io. Succedono cose strane nella mia testa: di solito io mi ricordo di essere fatto in un modo, poi quando mi vedo allo specchio noto delle differenze in peggio.
 “E alla fine l’hai menata?” mi chiede.
“Sì, alla fine.”
 “Sei l’unica persona che quando scopa sta peggio di prima” Mi fa lui.
“Hai ragione” rispondo. Me ne torno in camera e mi accendo una sigaretta “è che il fatto di picchiarla… non mi andava per niente. Alla fine mi ha costretto.”
“Beh, deve essere una specie di sadomaso fai da te”.
“E comunque non è che io sia turbato perché ho picchiato una donna consenziente che mi stava per staccare il cazzo a morsi. È che… io… non lo so.. forse mi è piaciuto farlo.”
“Smettila di pensare” mi dice lui. “Stai sempre a rimuginare sul fatto della violenza. Da che hai menato quel tipo…” poi si ferma e sbotta “Al, che cazzo! Ma stai sempre a piangerti addosso!”
Sbuffo.
Adriano si avvicina al balcone. Apre la serranda. Mi vengono i brividi. Si affaccia per vedere se si sono già fatti il motorino. Si accende lì fuori una sigaretta, forse aspetta che io lo raggiunga come al solito. Non lo faccio. Si gira verso di me.
“Senti, smettila di fare l’eremita e usciamo. Gli altri mi chiedono di te.”
“E perché non alzano il telefono e mi chiamano?”
“Perché? Perché sei uno stronzo, ecco perché. Credono che a te non faccia piacere”.
“Adesso no, ma sarebbe stato carino se si fossero fatti sentire quando mio padre è schiattato. O Quando mi sono mollato con Maria”.
Adriano torna dentro casa. Mi sento sollevato.
“Fai come ti pare. Comunque alla fine ci vediamo domani sera alle nove sotto da me. Se vuoi venire muovi il culo e vieni.”
“Va bene, ti faccio sapere.”
Adriano si avvia verso la porta. Mi dice ciao. Io lo saluto con un cenno della mano e lo guardo andare via. Mi sento ancora in canna le parole che avrei voluto digli: richiudimi quel cazzo di balcone, figlio di puttana!
Adesso sono da solo in casa con quel maledetto balcone aperto che mi guarda come se mi implorasse di fare qualcosa. Che dovrei fare, comunque? Buttarmi giù?
Se mi lanciassi adesso cadrei esattamente vicino al motorino di Adriano. Sai che sorpresa per lui? Si sentirebbe in colpa? Penserebbe “Sono stato io ad aprire quel balcone”?
Mi metto la maglietta.
Ho picchiato Lucia.
Accendo il computer per vedere le ultime mail. Non c’è manco il cazzo.
Ho picchiato Lucia perché me lo ha chiesto. Mi ha detto “puniscimi”. Ha insistito. Se non me l’avesse chiesto io non l’avrei fatto. In effetti se non avesse cominciato a mordermi e a prendermi a schiaffi probabilmente nemmeno l’avrei picchiata. Mi ha aggredito.
Vado su Facebook. Ho 3 inviti ad eventi: inaugurazione al Madre per la nuova mostra di… chi cazzo è questo?
Il fatto è che mi ha preso alla sprovvista. Cioè: non mi ha chiesto come mi chiamo. Mi ha portato nella stanza che era palesemente dei suoi genitori, in una casa che era palesemente dei suoi genitori.
No, ma chi se ne fotte del Madre.
Che dovevo pensare, poi? Che era una che si voleva fare una sveltina con casa libera e ha chiamato il primo coglione di cui aveva il numero a portata di mano. Questo dovevo pensare. Che sono il primo coglione a portata di mano. Quello carino. Vaffanculo quello carino.
L’altro evento è la festa di laurea di un cristiano che ho conosciuto al primo anno di università. Ma chi cazzo l’ha mai visto? Vedi tu se è cosa che uno che hai visto mezza volta ti invita alla festa di laurea e poi magari gli devi pure fare il regalo. Dove cazzo li trovo io i soldi per il regalo? No. Non ci vado. Manco morto.
E comunque Lucia era bella, e non aveva nemmeno un graffio addosso. Aveva la pelle liscia. Mi veniva giù il magone a farle del male. Non deve essere una che fa queste cose spesso. Ma quando ha cominciato a gridarmi addosso e a prendermi a schiaffi la prima cosa che ho pensato è di tirarle una sberla. Così. Per legittima difesa, tipo. E lei, quando l’ho colpita, mi ha guardato con uno sguardo da far paura. Sembrava una bestia feroce. E mi ha chiesto di colpirla ancora. E ancora. E io l’ho fatto, come uno stronzo. Poi magari mi denuncia per maltrattamenti o mi ricatta. Magari sono finito in una specie di truffa. O mi ritrovo il filmino su youporn.
Mi arriva una notifica da una tipa che ha messo mi piace al video dei Daft Punk che ho postato ieri. Human Afer All. In effetti è da un po’ che non aggiorno Facebook con qualcosa di sensato, che non siano video di canzoni.
Carmela posta ancora roba che le ricorda noi. Ci siamo visti per pochi giorni e si comporta come se le avessero ucciso il cane. Lo so, magari non si riferisce per forza a me, ma non posso fare a meno di pensarlo. Del resto non vedo chi potrebbe essere il “bastardo violento” che cita in qualche post più sotto, inserito nella frase “Ma perché devo sempre finire con qualche bastardo violento?”
Ho smesso di esprimermi con parole mie da quando ho lasciato Maria. Devo sempre ricorrere a canzoni, poesie,citazioni.
Mi ricordo. Postai “Hallelujah” di Jeff Buckley dopo essere tornato a casa. Pioveva. Postare quella canzone era l’unica cosa che pensai di fare, come fanno tutti i cuori infranti. D’improvviso mi sono sentito stupido come un adolescente.
E forse adolescente lo sono ancora. Meno di altri. Più di altri. Mi ricordo che Maria mi chiamava spesso, al tempo. Tempo. Tempo… quanto tempo fa? Mesi? Due settimane dopo la morte di mio padre. Volevamo vivere insieme. Volevamo spaccare il mondo. Pensavo: mio padre se ne va a farsi mangiare dai vermi, meno male che c’è lei, meno male che lei mi ricorda che bisogna vivere. E poi fanculo insieme. All’improvviso mi ricordo della faccia di Maria, lei che mi dice che mi ama, che mi ha tradito, ma che mi ama e vuole restare con me, vuole che il nostro rapporto sia pulito. E io, che non ce la faccio più, le tiro uno schiaffo. E poi un altro.
Lei mi chiede scusa, ma io sono fuori di me.
Io ho picchiato Maria, cazzo. E lei mi ha chiesto scusa.